giovedì 2 ottobre 2014

Bimbo cade dallo scivolo in un parco in ora notturna: no risarcimento per il genitore imprudente

Un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino piccolo, in ora notturna in un parco giochi consentendogli di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
L'utilizzo di strutture esistenti in un parco giochi -a meno che non risulti provato che le stesse siano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto- non si connota di per sé, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti.
In particolare, un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino piccolo, in ora notturna -e perciò priva di luce solare- in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare. Tali principi sono stati espressi dal giudice di legittimità in una recente decisione.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice distrettuale aveva accolto la domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti di una amministrazione comunale dai genitori di un minore vittima di una caduta mentre si trovava sullo scivolo sito all'interno del parco comunale.
Nella fattispecie, rileva la Cassazione, non risulta da alcun elemento che lo scivolo fosse in cattivo stato di conservazione o comunque dotato di un qualche specifico elemento di pericolosità.
La sentenza impugnata non ricostruisce le modalità concrete della caduta, osservando solo che lo scivolo era «ubicato all'interno di un'aiuola in terra battuta, coperta da uno strato assai rarefatto di sabbia tufacea, con radi cespugli erbosi» e che ai piedi dell'attrezzo c'era una concavità, priva di qualsiasi accumulo di terriccio o di sabbia. Da tali elementi, prosegue la sentenza in esame, essa trae la conclusione che la durezza dell'impatto certamente poteva avere causato il danno lamentato dai genitori del bambino, tanto più che l'amministrazione comunale avrebbe dovuto prevedere il rischio approntando un adeguato quantitativo di sabbia ai piedi dello scivolo, non potendo pretendere «un elevato contributo di attenzione ed una perfetta perizia da un bambino».
In tal modo tuttavia, specifica la Suprema Corte, la sentenza impugnata è incorsa nella violazione dell'art. 2043 c.c., non avendo fatto corretta applicazione dei principi circa la prevedibilità dell'evento dannoso.
Infatti, la caduta di un bambino di tre anni e mezzo di età da uno scivolo in ora notturna è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado di normale diligenza.
Il fatto che ai piedi dello scivolo vi fosse una buca o -come si dice- una conca, un avvallamento che aumenta il rischio di cadute pericolose non fa che rendere ancora più prevedibile l'evento dannoso; sicché aumentano le probabilità che la cooperazione colposa del soggetto danneggiato -nel caso degli adulti tenuti alla vigilanza sul bambino- possa avere una efficacia causale del tutto assorbente ai sensi dell'art. 1227 c.c., assumendo la cosa il ruolo puro e semplice di occasione dell'evento.
In altri termini, conclude la pronuncia in epigrafe, un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino così piccolo, in ora notturna -e perciò priva di luce solare- in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
Cass. Civ., Sez. III, 26 maggio 2014, n. 11657

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