giovedì 12 maggio 2016

Limiti all'autonomia negoziale dei privati nei contratti con la Pubblica Amministrazione in caso di rinnovo, proroga e rinegoziazione dei prezzi. Nuovo codice degli appalti.

L'autonomia negoziale del soggetto privato si riduce sensibilmente ove l'interlocutore sia un Ente di diritto pubblico, considerato preliminarmente che nei rapporti fra privati l'ambito di operatività dell'autonomia negoziale risulta essere quello tracciato nell'art. 1322 c.c., con i limiti ad essa posti, in linea generale, dagli artt. 1343, 1344 e 1345 c.c.
L'attività negoziale della Pubblica Amministrazione è espressione dell'autonomia privata di cui  gode, considerato che essa ha piena facoltà di realizzare un fine pubblico anche mediante l'attività contrattuale ordinaria. In tal caso essa agisce iure privatorum, spogliandosi della sua veste autoritativa e ponendosi sullo stesso piano di un soggetto privato, per cui la disciplina dei contratti posti in essere non differisce rispetto agli schemi negoziali utilizzati da qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento giuridico. Occorre, tuttavia, tenere presente che la valutazione discrezionale operata dall'amministrazione di ricorrere allo strumento contrattuale privato, poiché ritenuto più adatto per raggiungere i fini che la stessa si propone, è pur sempre funzionale al perseguimento dell'interesse pubblico, per cui nella fase preordinata alla stipulazione del contratto, la formazione della volontà della P.A. sarà comunque caratterizzata dall'emanazione di una serie di atti qualificati come amministrativi e, dunque, dominati dal diritto pubblico (c.d. "procedura di evidenza pubblica"). 
Sono proprio questi atti amministrativi preparativi e propedeutici al contratto a determinare l'ambito dell'autonomia negoziale dei privati, perché se da un lato consentono la facoltà di stipulare contratti di diritto privato dall'altro ne determinano anteriormente il contenuto. In estrema sintesi l'atto deliberativo che autorizza la gara o, se consentito, l'affidamento diretto contiene sin dall'inizio le condizioni contrattuali che potranno solo essere accettate e non discusse dal fornitore.
In linea generale deve dunque negarsi la possibilità di inserire nei contratti le clausole in questione, occorre però sottolineare che la normativa vigente prevede alcune ipotesi in cui la durata del contratto può essere rivista ma ciò avviene unicamente nei casi espressamente previsti dalla legge. Prima di elencare tali casi specifici dobbiamo tassativamente operare il distinguo fra “rinnovo” e “proroga”.
Sull'argomento degna di nota appare una recente sentenza del Consiglio di Stato, la cui Sezione V ha affermato che in tema “di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica. Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario”  (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2013 n. 4192).
La “proroga”, dunque, incide esclusivamente sulla durata di un rapporto contrattuale, mentre il “rinnovo” dà vita ad un nuovo rapporto tra le parti, che sostituisce quello precedente confermando le stesse parti contraenti, esso può essere espresso o tacito, a seconda che dipenda o meno da un’esplicita manifestazione di volontà delle parti. Nel nostro ordinamento il “rinnovo tacito” non risulta ammissibile e comporta la nullità del contratto mentre il “rinnovo espresso” e la “proroga”, alla luce dell’attuale normativa nazionale e comunitaria, sono consentiti nei soli casi previsti dalla legge, che di seguito andremo ad elencare.
Ipotesi  di proroga e rinnovo previste nel nuovo Codice degli appalti.
Il 19/04/2016, in attuazione delle direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE,  è entrato in vigore il “Nuovo Codice degli Appalti e delle Concessioni”, il quale fornisce disposizioni sulle fattispecie della “proroga” e del “rinnovo”. 
1.1  rinnovo
Più specificatamente, il V comma dell’articolo 63 del Codice degli appalti (titolato “Uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara”), regolamenta in modo espresso la possibilità di ripetere lavori o servizi analoghi già affidati all’operatore economico, “a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo una procedura di cui all'art. 59” (aperta, ristretta, procedura competitiva con negoziazione o dialogo competitivo). Il comma in esame aggiunge poi che “il progetto a base di gara indica l’entità di eventuali lavori o servizi complementari e le condizioni alle quali essi verranno aggiudicati. La possibilità di avvalersi della procedura prevista dal presente articolo è indicata sin dall’avvio del confronto competitivo nella prima operazione e l’importo totale previsto per la prosecuzione dei lavori o della prestazione dei servizi è computato per la determinazione del valore globale dell’appalto, ai fini dell’applicazione delle soglie di cui all’articolo 35, comma 1. Il ricorso a questa procedura è limitato al triennio successivo alla stipulazione del contratto dell'appalto iniziale”
Siamo in presenza di una forma di rinnovo del contratto il cui contenuto, anche economico, deve necessariamente essere previsto sin dal momento del bando di gara sia per quanto riguarda il valore iniziale dell'appalto sia per quanto riguarda il valore dell’eventuale ripetizione dei servizi. Il “rinnovo” in questione ha poi un limite temporale ben preciso, in quanto non può andare oltre i tre anni successivi al contratto iniziale.
1.2 rinnovo
A sua volta il successivo art. 106 del Codice degli appalti (titolato “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”) al comma 2° prevede la possibilità che all'aggiudicatario iniziale succeda “per causa di morte o per contratto, anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa   stabilita inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del presente codice”.
Anche in questo caso siano in presenza di una forma di “rinnovo” conseguente alle mutate condizioni soggettive dell'appaltatore.
2. proroga
Il successivo comma 11° dell'art. 106 del codice degli appalti dispone, invece, che “la durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all'esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli alla stazione appaltante”
Quella appena descritta è l'unica forma di “proroga” prevista dalla legge, la quale deve sempre essere contenuta nel bando iniziale di gara e giammai può influire sul prezzo stabilito nel contratto.
Infine, con riferimento ad eventuali mutamenti del prezzo del contratto, il comma 12° sempre dell'art. 106 del Codice degli appalti, ne stabilisce l'immutabilità “qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo” nonché la facoltà della stazione appaltante di imporre all'appaltatore l'esecuzione alle identiche condizioni previste nel contratto originario, senza che ciò consenta il diritto alla risoluzione del contratto.
Al di fuori delle ipotesi suddette non pare vi sia possibilità alcuna di proroga, rinnovo e contestuale rinegoziazione dell'originario contratto di appalto, anche perché, eventuali procedure non previste sarebbero ostative al rilascio del Codice CIG. 
Per completezza di esposizione vi è da evidenziare che le norme del nuovo codice appena richiamate si applicano esclusivamente ai contratti sopra la soglia di rilevanza comunitaria individuata nell'art. 35 del codice stesso mentre per quelli sotto tale soglia, in teoria, si potrebbe dar corso ad un approccio negoziale che lascia un margine più ampio all'autonomia del soggetto privato. Si tratta, tuttavia, di un ipotesi remota e di scarsa applicazione pratica poiché la Pubblica Amministrazione, anche quando agisce sotto soglia, è tenuta comunque a rispettare i principi di economicità, concorrenza, correttezza e speditezza fissati nell'art. 30 del codice e, in ogni caso, giunge a detta forma contrattuale sempre a seguito di un procedimento amministrativo che fissa ab initio ed inderogabilmente i contenuti essenziali dello stipulando contratto,  quali, come detto, potranno solo essere accettati dal fornitore.

martedì 3 maggio 2016

Strisce blu tagliando non visibile multa non valida.

La Cassazione, confermando quanto deciso dal Giudice di Pace in primo grado e dal Tribunale in appello, ha stabilito che il possesso del tagliando di parcheggio, pur se non esibito adeguatamente all'interno della vettura in sosta, legittima la contestazione della violazione ma, nel contempo, non giustifica la soccombenza del Comune convenuto, atteso che non appare censurabile il comportamento del vigile che ha elevato la multa.

  Cass. Civ., Sez. VI, 27/04/2016, n. 8282

martedì 8 marzo 2016

Requisiti soggettivi per essere ammessi alla procedura di crisi da sovraindebitamento.

La Cassazione ha fissato i criteri per l'individuazione del "consumatore" ossia del soggetto ammesso a beneficiare della procedura prevista dalla Legge n. 3/2012.
La suprema Corte ha, infatti, affermato che "in tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di consumatore abilitato al piano ai sensi della citata legge non si riferisce necessariamente ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni di impresa o professionali, sia pregresse che attuali, essendo richiesto soltanto che dette relazioni non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, atteso che nello stato di insolvenza finale del consumatore non possono comparire obbligazioni assunte per scopi relativi alle predette attività di impresa o professionali. Pertanto, è consumatore ai sensi della legge succitata soltanto il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo della medesima legge."
Gli Ermellini hanno puntualizzato che, per poter usufruire della procedura in oggetto, il debitore  può anche aver rivestito in passato la qualità di imprenditore ciò che rileva è che non residuano posizioni debitorie legata ai passati rapporti aventi natura imprenditoriale.
Ciò è dovuto al fatto che, rispetto alla precedente disciplina dettata dall'art. 1, 2° comma lett. b), del D.L. n. 212/2011 ove si parlava espressamente di "sovraindebitamento del consumatore", la rivisitazione dell'istituto conseguente alla Legge n. 3/2012 ha escluso ogni riferimento al "consumatore".

Cass. Civ., Sez. I, 01/02/2016 n. 1869

martedì 1 marzo 2016

Responsabilità professionale medica evitabilità intervento rischioso.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha recentemente dichiarato un chirurgo responsabile della morte di una paziente, conseguita al termine di un intervento di rimozione di ernia ombelicale, eseguito nonostante le condizioni cliniche della vittima lo sconsigliassero ed anzi lo rendessero altamente rischioso. La condotta del sanitario, nella circostanza, è stata ritenuta ulteriormente imprudente in quanto l'ospedale ove questi operava era privo del reparto di rianimazione: motivazioni, queste, giudicate idonee e sufficienti a radicare un giudizio di responsabilità civile a carico del medico.
Nel caso in questione, la responsabilità del chirurgo che aveva eseguito l'intervento letale, è stata riscontrata sulla scorta di una delle consulenze tecniche d'ufficio, quella ritenuta più affidabile fra le varie svolte, nella quale l'ausiliario del giudice deduceva che:
a) l'imprudenza del sanitario  consisteva nell'aver deciso di eseguire l'intervento nonostante le condizioni cliniche della paziente non solo lo sconsigliassero, ma anzi lo rendessero altamente rischioso;
b) l'intervento chirurgico in questione era "assolutamente privo del carattere di urgenza", e le sue conseguenze "prevedibili ex ante";
c) l'ospedale ove l'operazione venne eseguita era priva del reparto di rianimazione.
In estrema sintesi, secondo i Giudici di legittimità la colpa del chirurgo deve ravvisarsi nell'aver eseguito un intervento rischioso che poteva essere evitato.

Cass. Civ., Sez. III, 18/02/2016 n. 3173

lunedì 29 febbraio 2016

Equitalia illegittimità ipoteca iscritta senza termine difensivo preventivo.

La Corte di Cassazione ha stabilito che Equitalia è tenuta, prima di procedere all'iscrizione di ipoteca ai danni del contribuente, a concedere un termine preventivo di almeno trenta giorni affinché lo stesso possa far valere in contraddittorio le proprie ragioni; ove detto termine non venga rispettato, l'ipoteca così trascritta deve ritenersi illegittima e, come tale, può essere cancellata.
I Giudici di Piazza Cavour, sul punto, hanno sostenuto che l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 del D.P.R. n. 602/1973 non costituisce atto dell'espropriazione forzata bensì procedura ad essa alternativa; ne consegue che, come già affermato dalle Sezioni Unite, l'amministrazione finanziaria deve preventivamente comunicare al contribuente il suo intento di procedere all'iscrizione di ipoteca al fine di permettergli di presentare osservazioni o adempiere, in difetto si concretizza la violazione del diritto alla partecipazione del procedimento da parte dell'interessato, diritto tutelato dalla nostra normativa e da quella comunitaria.
L'ipoteca, pertanto, può essere cancellata ogniqualvolta il giudice accerti il mancato rispetto da parte di Equitalia di tutte le garanzie che l'ordinamento prevede a favore del contribuente.

Cassazione 26/02/2016 n. 3783




mercoledì 27 gennaio 2016

Danno da vacanza rovinata configurazione prova e liquidazione.

L'argomento in questione sta trovando sempre maggiore spazio nelle aule dei Tribunali, sono, infatti, in costante aumento coloro che si rivolgono ai giudici dopo una vacanza; in questo post si riportano alcune decisioni recenti che ben inquadrano la materia.
Il Tribunale di Napoli (Tribunale Napoli, Sez. XII, 18/02/2013, n. 2195; nella specie, a fronte di un costo del pacchetto turistico pari ad € 1.950,00 è stato riconosciuto in via equitativa un danno di € 1.300,00), chiamato a pronunciarsi su di una fattispecie in cui il consumatore aveva usufruito di una sistemazione di livello inferiore rispetto a quella pattuita, ha affermato che "Il contratto di viaggio tutto compreso (pacchetto turistico o package) è diretto a realizzare l'interesse del turista-consumatore al compimento di un viaggio con finalità turistica o a scopo di piacere, sicché tutte le attività e i servizi strumentali alla realizzazione dello scopo vacanziero sono essenziali. In particolare, pertanto, la circostanza che il turista-consumatore venga alloggiato, per una parte del periodo di soggiorno in una struttura alberghiera di livello qualitativo inferiore rispetto a quella prenotata all'atto dell'acquisto diminuisce in misura apprezzabile l'utilità che può trarsi dal soggiorno nella località turistica, dando luogo alla fattispecie della vacanza rovinata”. 
Con riferimento, poi, alla prova, il danno in conseguenza dell'inadempimento risulta in re ipsa come riconosciuto dal il Tribunale di Milano (Tribunale Milano, Sez. XI, 15/05/2014, n. 5036; conforme Tribunale Arezzo 30/01/2014 n. 110), secondo il quale "in tema di danno non patrimoniale 'da vacanza rovinata', inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell'inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell'attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della 'finalità turistica' (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero"
Tale decisione, invero, è conforme a quanto già indicato in precedenza dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. III, 11/05/2012, n. 7256), laddove ha sostenuto che “la prova del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata”, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero”.
In ordine, altresì, alla commisurazione del pregiudizio sofferto, "la liquidazione equitativa dei danni, ai sensi dell'art. 1226 c.c., è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, non soltanto quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile, ma anche qualora la stessa si presenti particolarmente difficoltosa in relazione alla peculiarità del caso concreto” (Tribunale Como, Sez. I, 18/07/2014, n. 1304).
Con l'introduzione del Codice del Turismo l'unicità e l'irripetibilità di ogni singola occasione di viaggio divengono esigenze meritevoli di tutela ed allora ben si comprende la posizione assunta dal Tribunale di Reggio Emilia (Tribunale Reggio Emilia, 23/02/2013, n. 279), impegnato a dirimere una controversia conseguente a problematiche sorte, come nella fattispecie, nel corso di un viaggio di nozze, laddove ha ritenuto che “è risarcibile, in virtù del combinato disposto dagli art. 2059 c.c. e art. 32 Cost., il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, integrato dal pregiudizio conseguente alla lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, tanto più grave ove si tratti di viaggio di nozze e come tale di occasione irripetibile; ed il turista-consumatore ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da parte dell’organizzatore o del venditore, anche se la responsabilità sia ascrivibile ad altri prestatori di servizi”.
In linea generale, si può dunque affermare che, nel caso in cui uno dei servizi che contrattualmente il tour operator si era impegnato a prestare manchi in tutto o in parte ovvero venga eseguito con modalità diverse rispetto a quanto previsto nell’offerta e/o nel contratto, l’organizzatore è tenuto a risponderne. 
Allo stesso modo, atteso che la Cassazione nella sentenza n. 1033 del 17/01/2013 ha addirittura ravvisato sussistere il danno da vacanza rovinata anche nel caso in cui le foto contenute nel depliant non siano conformi alla realtà, l'inadempimento e/o inesatta esecuzione delle prestazioni oggetto di contratto sono ravvisabili ogniqualvolta la vacanza non corrisponda alle aspettative del turista, ingenerate non solo dai depliant pubblicitari e dagli opuscoli informativi, ma anche dallo stesso contratto. 

lunedì 11 gennaio 2016

Sinistro stradale superamento presunzione concorso di colpa e risarcimento in forma specifica.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che il conducente coinvolto in un sinistro stradale, per potersi liberare dalla presunzione di concorso di colpa, è tenuto a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
I Giudici di legittimità hanno fissato il principio secondo il quale, anche laddove dal materiale probatorio acquisito al processo emerga la condotta colposa di uno solo dei conducenti, affinché possa attribuirsi ad esso la responsabilità esclusiva dell'evento gli altri soggetti coinvolti nell'incidente rimangono comunque tenuti a provare di "aver fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, ed in particolare di aver tenuto una velocità moderata".
Sempre nella decisione in esame i Giudici di Piazza Cavour hanno, altresì, precisato che la domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale deve considerarsi come risarcimento in forma specifica; pertanto, ai sensi dell'art. 2058 c.c., rientra nelle facoltà del Giudice quella di non accogliere la domanda così formulata e di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente, ossia alla corresponsione di una somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo.


Cass. Civ., Sez. III, 08/01/2016 n. 124