martedì 15 dicembre 2015

Composizione crisi sovraindebitamento omologazione in difetto di approvazione del creditore.

Il D.L. 22/12/2011 n. 212, successivamente novellato dalla legge 27/01/2012, n. 3, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del sovraindebitamento, che si applica all'insolvente civile rispetto al quale, stante il difetto della qualifica di imprenditore, non possono trovar applicazione le procedure concorsuali. 
Occorre preliminarmente, ai sensi degli artt. 11 e 12 della citata legge, far predisporre il piano del consumatore dall'organismo di composizione della crisi, una volta predisposto detto piano viene trasmesso al giudice che, in caso di omologa, ne dispone l'immediata pubblicazione. Per potersi omologare l'accordo deve prevedere il rispetto della percentuale fissata nell'articolo 11, comma 2, e, nel contempo, assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo.
La sentenza in esame si dimostra interessante poiché resa in caso di mancata adesione di uno dei creditori ed in presenza di contestazioni circa la convenienza dell'accordo.
Il Tribunale di Napoli ha chiarito che "deve essere omologato il piano del consumatore di cui alla legge n. 3/2012 per la composizione della crisi da sovraindebitamento, che porta al dimezzamento del debito costituito dal mutuo ipotecario nei confronti della banca, dovendosi ritenere che detto piano, pur prevedendo il pagamento in misura parziale del creditore ipotecario stante la stima del valore commerciale del bene immobile, e il pagamento nella misura integrale del credito chirografo (ad esclusione degli interessi), assicura per essi una percentuale di soddisfazione presumibilmente non inferiore a quella che otterrebbero in caso di liquidazione, dovendosi osservare che la valutazione sulla convenienza deve far riferimento anche ai costi delle procedure esecutive individuali, funzionali alla liquidazione coattiva del bene ed ai tempi processuali non brevi oltre all’incognita di realizzazione rimessa all’esito della vendita nelle previste forme giudiziali e ricordare che per legge il piano non è sottoposto ad alcuna votazione e quindi non necessita di alcuna approvazione da parte dei creditori".
Tribunale di Napoli, Volontaria Giurisdizione, sentenza del 28/10/2015

venerdì 11 dicembre 2015

Applicabilità dell'IRAP ai professionisti.

In tema  di  IRAP la Corte di Cassazione, inserendosi nel solco già tracciato dai Giudici della Consulta, ha più volte affermato che, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1°, e 3, comma  1°, lett. c), del D.Leg.vo 15 dicembre 1996, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R.  22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1°, e all’art. 53, comma 1°, del medesimo D.P.R., è  escluso  dall’applicazione dell’imposta in questione ogniqualvolta si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma  organizzazione,  il  cui accertamento  spetta  al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) usufruisca in modo non occasionale di dipendenti e/o di collaboratori esterni; b) impieghi beni strumentali di rilevante valore ossia che eccedano, secondo l’id quod plerumque accidit,  il  minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza  di organizzazione.
I presupposti, dunque, che giustificano l’imposizione dell’IRAP nei confronti di un libero professionista, sono, in sintesi,  costituiti  dal  possesso  di  beni  strumentali eccedenti il minimo indispensabile  per  l'esercizio  della  professione o dall'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui; al di fuori di queste ipotesi l’imposta in questione non trova mai ragione d’essere e la sua debenza non può essere giustificata e deve considerarsi illegittima.  
A nulla rileva, poi, che l'attività libero professionale sia contraddistinta dalla continuità. Invero, mentre l'elemento organizzativo è fisiologico alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché connaturata dal carattere della abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata  diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa.
Secondo la Corte Costituzionale, pertanto, si può benissimo configurare un esercizio "non organizzato" dell'attività professionale, il quale, per ciò stesso, è da ritenersi al di fuori del campo di applicazione dell'imposta.
La Cassazione ha elaborato una gran mole di lavoro circa la esatta definizione del requisito dell'autonoma organizzazione; ci si riferisce, in particolar modo, alla serie di sentenze depositate in data 16/02/2007 e contraddistinte dal n. 3672 al n. 3682, in data 05/03/2007 con numeri compresi tra 5009 al 5015, in data 19/03/2007 recanti numeri dal 6500 al 6505, in data 30/03/2007 con numeri dal 7891 al 7899 e, infine, in data 02/04/2007 e contraddistinte dai numeri che vanno dal 8166 sino all'8177, che hanno rappresentato, e rappresentano tutt'ora, il perno interpretativo della materia che ci occupa ed il punto di partenza per le decisioni posteriori chiamate ad intervenire sullo stesso argomento. In esse si delinea un indirizzo interpretativo secondo il quale, fermi restando i due principi cardine sopra richiamati (impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività ed impiego in maniera non occasionale di dipendenti o collaboratori ) si ha esercizio di "attività autonomamente organizzata" soggetta ad Irap ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 quando l'attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad una struttura che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Non risulta, invece, di ostacolo alla sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'Irap il fatto che l'apporto del titolare sia insostituibile in quanto consistente in un'attività riservata agli iscritti ad un albo. Ciò perchè possono benissimo ipotizzarsi autonome fasi di lavorazione (organizzazione logistica, competenze interne, distribuzione del lavoro, ricerche, relazioni preparatorie, stime preventive, eccetera) che confluiscono poi nella sintesi del prodotto finale elaborato dal professionista, cosa che configura così la debenza dell'imposta. Sempre secondo l'orientamento delineato dalle sentenze sopra richiamate, con l'espressione contenuta nella norma "pertanto sono soggetti" ad Irap "le persone fisiche esercenti arti e professioni", il legislatore non ha inteso indicare una consequenzialità necessaria, ma solo definire la platea dei soggetti che possono (e non che devono necessariamente) essere soggetti ad imposta. Ciò in quanto l'autonoma organizzazione costituisce presupposto oggettivo imprescindibile (diverso dal presupposto dalla produzione di reddito) che attribuisce all'imposta una natura reale. Concludono esse decisioni respingendo la  tesi dell'Agenzia delle Entrate secondo cui il legislatore avrebbe istituito una sorta di presunzione di esistenza del presupposto impositivo. La netta contrapposizione rispetto alle posizioni sulle quali si era arroccata l'Agenzia delle Entrate emerge, altresì, in modo netto anche nella sentenza n. 5010 del 05/03/2007, nella quale si legge che non appare condivisibile la tesi prospettata dall'Avvocatura Erariale secondo cui le due parole aggiunte (autonoma organizzazione) avrebbero solo lo scopo di  rendere più chiaro il motivo dell'esclusione dai soggetti passivi dei co.co.co.. Detta sentenza, poi, richiama apertamente il contenuto della famosa “relazione Gallo”, ripresa nella relazione ministeriale di accompagnamento al decreto delegato n. 446/1997, la quale afferma che “l'organizzazione si risolve per il suo titolare in disponibilità di beni ed in prestazioni economicamente valutabili corrispondenti alla potenzialià produttiva dell'organizzazione stessa” e giunge a concludere che “si ha esercizio di attività soggetta ad Irap ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 quando l’attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Di guisa che l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale , simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esplicitamente esclusi dall’applicazione dell’Irap (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti)”
Si può, dunque, affermare senza tema di smentita che non è sufficiente, ai fini dell'imposizione IRAP, quella sorta di mera auto organizzazione, che, secondo l'Avvocatura erariale, sarebbe propria anche delle attività abituali che danno luogo all’applicazione dell’IVA.


giovedì 19 novembre 2015

Caduta alunno in aula responsabilità insegnante.

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha espresso il principio secondo il quale l'insegnante, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 c.c. posta a suo carico, è tenuto a dimostrare di aver adottato preventivamente tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi della serie causale che ha condotto all'evento lesivo e che, nonostante ciò, il fatto dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità, ha impedito un tempestivo ed efficace intervento. 
Pertanto, laddove l'insegnante non riesce a fornire la prova suddetta, il Ministero è chiamato a risarcire l'alunno. 
Nel caso in questione, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto sussistere la responsabilità dell'insegnante poiché questa si era assentata senza affidare la custodia della classe a bidelli o ad altri soggetti in sua sostituzione ed in quanto l'incidente occorso all'alunno, caduto perché una compagna di classe gli aveva sfilatola sedia, deve essere considerato quale evento prevedibile.
La pronuncia è stata motivata come segue.
"Occorre muovere dalla considerazione che presupposto della responsabilità dell’insegnante per il danno subito dall’allievo, nonché fondamento del dovere di vigilanza sul medesimo, è la circostanza che costui gli sia stato affidato, sicché chi agisce per ottenere il risarcimento deve dimostrare che l’èvento dannoso si è verificato nel tempo in cui l’alunno era sottoposto alla sorveglianza del docente, restando indifferente che venga invocata la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie (cfr. Cass. civ. 16 febbraio 2015, n. 3081; Cass. civ. 10 ottobre 2008, n. 24997). A ciò aggiungasi, con particolare riguardo alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 cod. civ., che la giurisprudenza di questa Corte considera, sì, dirimente la dimostrazione, da parte dell’insegnante, dell’esercizio della vigilanza nella misura dovuta nonché della imprevedibilità e repentinità in concreto dell’azione dannosa, ma costantemente avverte che, ove manchino le più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina tra gli allievi, non si può neppure invocare l’imprevedibilità del fatto. Ne deriva che questa ha portata liberatoria solo nell’ipotesi in cui non sia stato possibile evitare l’evento nonostante l’approntamento di un sistema di vigilanza adeguato alle circostanze (cfr. Cass. civ. 22 aprile 2009, n. 9542; Cass. civ. 18 aprile 2001, n. 5668; Cass. civ. 21 agosto 1997, n. 7821; Cass. civ. 24 febbraio 1997, n. 1683; Cass. civ. 22 gennaio 1990, n. 318). 3 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale si è segnatamente occupata della dinamica dell’incidente ritenendo, da un lato, indimostrato che la caduta di S. M. fosse stata determinata dalla sottrazione, ad opera di D.M., della sedia sulla quale stava per sedersi (come sostenuto dagli attori), piuttosto che dalla contesa della medesima sedia tra lui e la compagna (come dedotto dai convenuti); e qualificando, dall’altro, in termini di imprevedibilità e repentinità l’iniziativa in tesi assunta dall’allieva, avvenuta in un’aula ove era comunque presente il bidello. Proprio quest’ultima notazione disvela tuttavia l’insufficienza dell’approccio del giudice di merito con le problematiche sottese al superamento della presunzione della responsabilità del precettore, avendo il decidente sostanzialmente ignorato l’assoluta centralità dell’assolvimento, da parte dello stesso, dell’obbligo di vigilanza nella misura dovuta. Non può invero sfuggire che, per poter ritenere raggiunta la prova liberatoria nei termini imposti dall’art. 2048 cod. civ., era necessario indagare sulle condizioni dell’affidamento dei discenti, impegnati peraltro in un’attività extracurricolare, alla sorveglianza dell’ausiliario, a partire dalla eventuale adibizione di questi anche ad altre incombenze. La mancanza di una adeguata verifica in ordine all’approntamento, in via preventiva, di cautele idonee, secondo una valutazione ex ante, a scongiurare situazioni di pericolo, vulnera in maniera irredimibile la scelta decisoria adottata, tanto più che, a ben vedere, la caduta conseguente alla contesa di una sedia tra due ragazzini è accadimento la cui qualificazione in termini di repentinità, imprevedibilità ed evitabilità non appare del tutto scontata. Ne deriva che, ragionando secondo gli schemi delineati negli interventi nomofilattici del giudice di legittimità, la negativa valutazione in ordine alla dinamica dell’incidente posta a base della pretesa azionata potrebbe risultare sostanzialmente neutra ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’insegnante al quale gli allievi erano stati affidati".
Cass. Civ., Sez. III, 13/11/2015, n. 23202

mercoledì 18 novembre 2015

Responsabilità professionale avvocato.

Le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono pacificamente considerate, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, obbligazioni di mezzi e non di risultato; in buona sostanza il professionista,  nel momento in cui assume l'incarico, si obbliga a prestare la propria opera in vista del raggiungimento di un determinato risultato senza accollarsi, invece, alcun obbligo in ordine al conseguimento del medesimo.
La natura dell’obbligazione, come appena descritta, si ripercuote inevitabilmente sui criteri alla stregua dei quali dovrà essere valutato l’eventuale inadempimento; il professionista, infatti, è tenuto a rispondere non già per il mancato raggiungimento del risultato sperato dal creditore, bensì solo nel caso cui abbia violato i doveri inerenti allo svolgimento della propria attività professionale, ed in particolare quel dovere di diligenza media che il secondo comma dell’art. 1176 c.c. gli impone.
Con specifico riferimento alla responsabilità professionale dell’avvocato, la consolidata giurisprudenza della Cassazione (ex multis Cass. Civ., 9 giugno 2004, n. 10966; Cass. Civ., 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. Civ., sentenza 26 aprile 2010, n. 9917; Cass. Civ., sentenza 5 febbraio 2013, n. 2638) ha precisato che il riconoscimento della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Il cliente che lamenta l’inadempimento, e nel contempo invoca il risarcimento, è tenuto, quindi, a provare in termini probabilistici che senza la negligenza e/o l'imperizia del legale, il risultato voluto sarebbe stato conseguito (in tal senso si esprime anche Cass. Civ., sentenza 10 dicembre 2012, n. 22376).
Tale orientamento è stato recentemente confermato dai Giudici di legittimità, secondo i quali “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici” (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 13/02/2014 n. 3355).
In ordine alla responsabilità del professionista, poi, la Corte nella sentenza appena menzionata, oltre a richiamare il proprio consolidato orientamento in materia precisa che “nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico”
Grava quindi sul cliente che lamenti l’inadempimento da parte del professionista alla propria obbligazione, l'onere di fornire la prova, supportata da idonei dati obiettivi, in base alla quale il Giudice è chiamato a valutare se, in relazione alla natura del caso concreto, l'attività svolta dal professionista possa essere giudicata sufficiente o meno (Cass. Civ., sentenza 18 aprile 2007, n. 9238). Egli, pertanto, sarà tenuto a provare non solo di aver subito un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla negligente prestazione professionale (Cass. Civ., sentenza 27 maggio 2009, n. 12354).
Ne deriva così una forma di responsabilità che sfugge, in parte, alle normali regole della responsabilità contrattuale, per far valere la quale il creditore può limitarsi alla prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, allegando l’inadempimento della controparte; sarà poi il debitore convenuto a dover fornire la prova dall'avvenuto adempimento o comunque di un fatto estintivo del diritto fatto valere in giudizio. Nel caso di responsabilità professionale, per il creditore non è sufficiente allegare un generico inadempimento, fonte di danno, occorre, altresì, che lo stesso fornisca la prova del nesso causale tra il danno e l’inadeguatezza della condotta professionale del prestatore d’opera intellettuale.
Tale peculiarità è conseguenza proprio della natura stessa della prestazione professionale che, come detto, è prestazione di mezzi e non di risultato.

martedì 17 novembre 2015

Agevolazioni fiscali prima casa immobile di lusso superficie.

La Corte di Cassazione con una recente sentenza dello scorso 7 ottobre ha ribadito il proprio orientamento consolidato in tema di requisiti per poter usufruire delle agevolazioni prima casa.
Hanno, infatti, sostenuto i Giudici di legittimità che "in materia di imposta di registro, ipotecarie o catastali, per stabilire se un'abitazione sia di lusso e, quindi non possa essere ammessa a godere dei benefici previsti per l'acquisto della prima casa, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, la sua superficie utile, che deve essere complessivamente superiore a 240 mq, va calcolata secondo quanto previsto dal D.M. Lavori Pubblici n. 1072 del 1969, e dunque determinata in base a quella che, dall'estensione globale riportata nell'atto di acquisto sottoposto all'imposta, residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina".
Nello specifico, il superamento del limite dei 240 mq comporto la perdita delle agevolazioni in questione; ai fini del computo, tuttavia, non devono essere considerati i vani accessori, come quelli riportati nella massima.
Cass. Civ., Sez. V, 07/10/2015 n. 20031.

giovedì 5 novembre 2015

Il professionista può legittimamente erogare prestazioni a parenti ed amici a titolo gratuito.

La Cassazione, con la sentenza n. 21972 depositata il 28 ottobre 2015, ha stabilito che il contribuente è legittimato a prestare servizi professionali a titolo gratuito ad amici e parenti, senza che il fisco possa inventare compensi e redditi mai percepiti.
Gli ermellini hanno rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, la quale aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva ritenuto illegittimo l'accertamento nei confronti di un consulente fiscale che non aveva emesso fatture a 72 clienti, a favore dei quali aveva reso prestazioni a titolo gratuito stante i rapporti di parentela od amicizia tra loro. 
L'Agenzia delle Entrate, sul presupposto che fosse impossibile effettuare prestazioni senza ricevere compenso alcuno, aveva vinto in primo grado, per poi veder la decisione ribaltata dalla CTR, sul presupposto che, a fronte della corretta contabilità tenuta dal contribuente, lo stesso, limitatosi unicamente all'invio telematico di persone fisiche socie di società sue clienti, ben poteva svolgere simile attività ai fini dell'incremento della clientela.
La Cassazione ha confermato la pronuncia di secondo grado, ritenendo possibile "in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell'elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti "non paganti") e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l'attività svolta in loro favore riguardava soltanto l'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata  all'incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l'assunto del contribuente circa la sua gratuità.
Corte di Cassazione sentenza 28/10/2015 n. 21972

venerdì 30 ottobre 2015

Scioglimento comunione assegnazione ed attribuzione quote.

L'orientamento ormai consolidatosi della giurisprudenza sull'art. 729 c.c., non dà al criterio dell'estrazione a sorte carattere assoluto bensì soltanto tendenziale e, come tale, può essere agevolmente superato quando vi siano ragioni che lo richiedano.
La Suprema Corte ha, invero, affermato che “in tema di scioglimento della comunione relativa ad un immobile comodamente divisibile, il giudice di merito gode di un'ampia discrezionalità nell'esercizio del potere di attribuzione delle porzioni ai condividenti, salvo l'obbligo di darne conto in motivazione; nell'esercizio di tale potere discrezionale, egli può considerare anche gli interessi individuali delle parti aventi ad oggetto beni estranei alla comunione - confrontandoli con gli altri interessi rilevanti nella specie - allo scopo di compiere la scelta più appropriata”  (Cassazione Civ., Sez. II, Sentenza 15/10/2010 n. 21319).
Il principio è stato poi ribadito da una successiva decisione in cui si ribadisce che “il criterio dell'estrazione a sorte previsto dall'art. 729 cod. civ. nel caso di uguaglianza di quote a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo - applicabile anche nell'ipotesi di divisione dei beni comuni, in virtù del rinvio recettizio di cui all'art. 1116 cod. civ. - non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, quale risulterebbe dall'applicazione della regola del sorteggio, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza 27/12/2012 n. 23930). 
Ancor più recentemente tali argomenti sono stati rafforzati con l'assunto che “il criterio dell'estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall'art. 729 c.c. a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, essendo pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del difetto di motivazione, ad esempio in presenza di documenti risalenti a tentativi di definizione bonaria della controversia” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza  13/03/2014 n. 5866) .
Sulla base dei principi appena enunciati, si può, quindi, sostenere senza tema di smentita che il principio posto dall'art. 729 c.c. non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è, pertanto, derogabile, in presenza di valide ragioni, in base a valutazioni prettamente discrezionali, insindacabili in sede di legittimità salvo che sotto il profilo dell'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. 

giovedì 29 ottobre 2015

Liquidazione dell'attivo nell'eredità beneficiata.

Al fine di soddisfare i diritti dei creditori ereditari e dei legatari, l'erede con beneficio d'inventario dispone di diverse alternative: la cosiddetta liquidazione individuale ovvero quella concorsuale ovvero il rilascio di tutti i beni ereditari.
Con riguardo alla prima, in realtà, la lettera della legge non utilizza l'espressione "liquidazione" e ciò perché in questa può mancare l'attività propria della liquidazione, intendendosi per essa la conversione dei beni in denaro per il pagamento; per tale motivo la dottrina preferisce parlare di una procedura di pagamenti individuali.
In mancanza di una particolare opzione da parte dell'erede o di un creditore ereditario o legatario, la legge prevede l'operare della procedura dei pagamenti individuali poiché quest'ultima procedura presenta dei vantaggi, in quanto comporta di norma minori spese rispetto alla liquidazione concorsuale.
Tuttavia, per poter dare concreta esecuzione ai pagamenti individuali, l'art. 495 c.c. si richiede la presenza di alcuni presupposti. Il primo è di ordine temporale e consiste nel fatto che sia trascorso almeno un mese dall'adempimento delle formalità di pubblicità dell'accettazione beneficiata e dell'inventario di cui all'art. 484 c.c. La ratio è quella di lasciare un termine ai creditori ereditari e legatari per decidere se avvalersi o meno della diversa procedura di liquidazione concorsuale. Il secondo e terzo presupposto sono, invece, di ordine negativo e concernono la mancanza di una opposizione ai pagamenti individuali fatta dai creditori o legatari ovvero della scelta per la liquidazione concorsuale effettuata dallo stesso erede.
Il passaggio è di estrema rilevanza e merita un'ulteriore riflessione.
L'art. 495 c.c. disciplina la liquidazione individuale e prevede due condizioni essenziali per procedervi.
Prima condizione (positiva temporale) è che l'erede beneficiato debba attendere il decorso del termine dilatorio previsto dall'art. 495 c.c., ossia il termine di un mese dall'annotazione sul registro delle successioni, a carico del cancelliere, dalla data in cui l'inventario è stato compiuto, ai sensi del disposto del 5° comma dell'articolo 484 c.c..
Seconda condizione (negativa potestativa) della liquidazione individuale è che i creditori e legatari, nel termine anzidetto, non abbiano fatto opposizione, imponendo così all'erede beneficiato di procedere alla liquidazione concorsuale.
L'erede beneficiato, qualora intenda valersi della liquidazione individuale, può, senza indugio, provvedere al pagamento dei creditori e dei legatari "a misura che si presentano, salvo i diritti di poziorità".
La liquidazione individuale, pertanto, secondo quanto prevede la norma non è improntata al principio della "par condicio creditorum", bensì al principio del "prior in tempore potior in iure", per cui ne deriva che l'erede può liberamente pagare, senza essere tenuto ad osservare altro ordine che non sia quello determinato dalla cronologia delle richieste di pagamento; né l'erede ha la possibilità e il potere di riservare somme per i creditori privilegiati che ancora non si siano presentati, ma di cui sia nota l'esistenza, poiché invece egli è tenuto a pagare integralmente i creditori, secondo l'ordine di presentazione, finché sussistano attività ereditarie, senza prendere in considerazione la natura del credito.
La liquidazione individuale è, dunque, improntata al principio della libertà dei pagamenti giacché l'erede può effettuarli senza l'osservanza di alcun criterio di collocazione del credito, salvo quello determinato dall'ordine di presentazione delle domande.  La libertà che l'erede beneficiato ha di pagare liberamente i creditori e legatari, però, non è assoluta perché trova certamente un limite nei diritti di poziorità eventualmente vantati da alcuno dei creditori.
I diritti di poziorità sono quelli disciplinati dal legislatore nell'articolo 2741 c.c., definiti cause legittime di prelazione e sono: i privilegi, il pegno e l'ipoteca.
Il rispetto di essi è subordinato al fatto che devono essere stati acquistati prima dell'apertura della successione. Ciò si desume direttamente dall'articolo 2830 c.c., a norma del quale l'erede non può costituire diritti di prelazione a favore dei creditori ereditari o legatari e i creditori da parte loro non possono iscrivere ipoteche giudiziali sui beni di eredità accettate con beneficio di inventario neppure in base a sentenze pronunciate anteriormente alla morte del debitore .

mercoledì 21 ottobre 2015

Responsabilità medico chirurgica.

La Cassazione è tornata ad occuparsi della responsabilità professionale medica, questa volta in relazione alla ottemperanza da parte della struttura della normativa vigente in tema di sicurezza, affermando che "in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’osservanza da parte di un nosocomio – pubblico o privato – delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza".
La pronuncia introduce, quindi, il principio secondo il quale la responsabilità in questione non può essere esclusa o limitata dalla presenza delle dotazioni previste ex lege, il  cui utilizzo da parte dei sanitari non può prescindere dall'osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, 

giovedì 15 ottobre 2015

Assicurazione sanitaria rimborso spese rimborso interventi extra elenco contrattuale.

In una recente sentenza del 20/08/2015, la n. 17020, i Giudici di Piazza Cavour hanno riconosciuto la possibilità di ottenere l'indennizzo di interventi sanitari anche al di fuori dell’elenco contrattuale, condannando una prestigiosa compagnia assicurativa al pagamento del relativo indennizzo.
La massima precisa che "in materia di interpretazione del contratto, viola i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363, 1369 e 1370 cod. civ., l’interpretazione della clausola di un contratto di assicurazione sanitaria che pretenda di individuare gli interventi rimborsabili (nella specie, di resezione, incannulazione antiblastica, epatotomia e rimozione di adenomi maligni) sulla base delle tecniche utilizzate e non dell’obiettivo terapeutico perseguito, assumendo la rimborsabilità esclusivamente di interventi di natura chirurgica e non radioterapica".
La decisione in questione, quindi, fissa un punto a favore del contraente, nei cui confronti la compagnia assicurativa non potrà più eccepire la mancata inclusione della terapia sanitaria goduta dall'elenco allegato alla polizza.

mercoledì 14 ottobre 2015

Mancata notifica cartella di pagamento opposizione iscrizione a ruolo

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a risolvere un contrasto fra alcune decisioni, hanno dichiarato ammissibile l’impugnazione davanti al giudice tributario della cartella di pagamento ove, a causa del difetto della sua notifica, il contribuente sia venuto a conoscenza dell’iscrizione a ruolo solo attraverso l’estratto rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione.
E' stato, dunque, emanato il principio di diritto in virtù del quale risulta "ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione".


lunedì 12 ottobre 2015

Danno da vacanza rovinata.

Il danno da vacanza rovinata deve essere ravvisato nel disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione di un periodo di vacanze programmato; il pregiudizio consiste nella lesione del benessere psichico e materiale che il turista soffre per non aver potuto godere, in tutto o in parte, di un sereno periodo di vacanza perché rovinato da imprevisti, difficoltà e ritardi.
La Cassazione è intervenuta sull'argomento già da alcuni anni,  ritenendo sufficiente la prova fornita dai turisti circa l’inadempimento dell’operatore turistico e, nel contempo, ha riconosciuto la possibilità di risarcire, ove raggiunta la suddetta prova sia il danno patrimoniale che quello morale.
Nella sentenza n. 5189/2010 la Suprema Corte, intervenendo in un ipotesi di inadempimento e/o inesatta esecuzione del cosiddetto "pacchetto turistico", ha affermato che il pregiudizio consegue alla lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, danno risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c. c. poiché la risarcibilità di tale danno è prevista dalla legge (Codice del Turismo) , oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.
Nella successiva sentenza n. 7256 dell'11/05/2012, i Giudici della III Sezione, hanno fissato il principio secondo il quale la prova del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata”, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero.
Sulla base delle decisioni richiamate, si può, in conclusione, affermare che il nostro ordinamento, anche dietro la spinta comunitaria, ha recepito e riconosciuto il danno da vacanza rovinata, il cui risarcimento deve assicurare al turista una utilità sostitutiva rispetto a quella che avrebbe ricevuto nel caso in cui ci fosse stato un esatto adempimento dall'altra parte e che compensi le sofferenze morali e psichiche ricevute.

venerdì 9 ottobre 2015

Indennizzo per volo cancellato a seguito di guasto all'aereo.

La IX Sezione della Corte di Giustizia UE con la sentenza n. C-257/14 del 17/09/2015 ha stabilito che I problemi tecnici derivanti a causa della manutenzione non sono motivo per dispensare il vettore aereo dalla compensazione economica in favore dell'utente, a meno che non rientrino in vizio occulto di fabbricazione che incìde sulla sicurezza dei voli, atti di sabotaggio o di terrorismo.
La convenzione di Montreal dispone, infatti, che gli obblighi incombenti sui vettori aerei non trovano applicazione solo nel caso in cui un evento è dovuto a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. Rientrano in tale tipologia gli eventi connessi a instabilità politica, condizioni meteorologiche incompatibili con l’effettuazione del volo in questione, rischi per la sicurezza, improvvise carenze del volo sotto il profilo della sicurezza e scioperi che si ripercuotono sull’attività di un vettore aereo operativo. Potrebbe, poi, rientrare nei casi di circostanza eccezionale la decisione del controllo del traffico aereo laddove, con riferimento ad un singolo aereomobile, ne provochi la cancellazione ovvero un lungo ritardo tale da richiedere il pernottamento.
La Corte di Giustizia UE, Sezione IV, era già intervenuta sull'argomento con la sentenza n. C-549/07 del 22/12/2008, nella quale aveva affermato che possono ritenersi eccezionali quelle circostanze inerenti ad un evento che non attiene al regolare esercizio delle attività del vettore aereo e sfugga al suo effettivo controllo, per la sua natura o per la sua origine.
Ne consegue che i vettori aerei, nell'esercizio della loro attività, devono esser in grado di far fronte regolarmente ai problemi tecnici inevitabilmente connessi al funzionamento degli aeromobili.


martedì 6 ottobre 2015

Risarcibilità agli eredi del danno da morte immediata.

Per danno da morte immediata si intende il pregiudizio che si verifica ogniqualvolta taluno deceda immediatamente o poco dopo rispetto al momento in cui subisce l'azione illecita. Ormai da molti anni giurisprudenza e dottrina sono impegnate, con risultati discordi, a discutere se esso sia risarcibile o meno.
La stessa Corte di Cassazione ha mantenuto, nel tempo, un atteggiamento ondivago che ha condotto a decisioni tra loro in contrasto. Con la sentenza n. 1361/2014 si era riconosciuta la trasmissabilità del pregiudizio agli eredi, atteso che i Giudici di legittimità avevano sostenuto che "il diritto al risarcimento del danno da perdita della vita (c.d. danno tanatologico) è acquisito dalla vittima un attimo prima della sua morte avvenuta pressoché istantaneamente rispetto all'evento lesivo. Esso, pertanto, è trasmissibile iure successionis. La risarcibilità costituisce, in questo caso, un'imprescindibile eccezione al principio della irrisarcibilità del danno evento e della risarcibilità dei soli danni conseguenza, stante la rilevanza costituzionale del bene vita".
Recentemente le Sezioni Unite, con la sentena n. 15350 del 22/07/2015 sono tornate sull'argomento andando in senso opposto affermando che "il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua alle lesioni subite, decorre dal momento in cui sono provocate le lesioni, sino a quello della morte conseguente alle lesioni medesime; tale diritto si acquisisce al patrimonio del danneggiato ed è suscettibile di trasmissione agli eredi. Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, invece, si ritiene che non possa invocarsi un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis. Infatti, se i danni discendono dalla lesione, essi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando lo stesso sia in vita. Una volta sopravvenuto il decesso, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone comunque e necessariamente, l'esistenza di un subbietto di diritto".
La decisione in questione delle Sezioni Unite, tuttavia, non ha sopito la discussione bensì ha dato l'avvio ad autorevoli riflessioni critiche, ragion per cui l'argomento in questione non sembra ancora giunto su posizioni condivise da tutti gli operatori del diritto. 


lunedì 21 settembre 2015

Azienda Sanitaria Locale natura ente pubblico economico - Corte di Cassazione, Sez. III Civ., sentenza n. 11088/14

Concludiamo con la sentenza della Suprema Corte.









Azienda Sanitaria Locale natura ente pubblico economico - Tribunale di Roma, Sez. VIII, sentenza n. 22878/14

Proseguiamo con la pubblicazione della sentenza del tribunale di Roma.




Azienda Sanitaria Locale natura ente pubblico economico - Corte Costituzionale ordinanza n. 49/2013

Visto la grande visibilità del precedente post dello scorso novembre sull'argomento in oggetto, si è pensato di riportare integralmente la giurisprudenza ivi richiamata, iniziando con l'ordinanza della Corte Costituzionale.

CORTE COSTITUZIONALE ORDINANZA N. 49/2013












Diritti della persona, riproduzione foto su internet.

Con la Sentenza n. 15763/15 la Suprema Corte di Cassazione, chiamata ad occuparsi della vicenda della riproduzione su un sito internet dell'immagine di una ballerina durante uno spettacolo di inaugurazione di un locale aperto al pubblico, ha precisato nuovamente quali debbano essere le condizioni necessarie per evitare la violazione del diritto all'immagine tutelato dalla L. n. 633/1941.
La Cassazione ha ribadito l'importante principio in base al quale per la pubblicazione di foto e per la loro immissione sul circuito del web è sempre necessario acquisire l'espresso consenso della persona interessata, stabilendo che, anche ove si possa dallo stesso prescindere allorquando l'evento di riferimento si svolga in pubblico, rimane comunque indispensabile che sia rilasciato qualora le scene riprodotte siano idonee a comportare la lesione dell'onore, della reputazione e del decoro del soggetto ripreso. In sintesi, è stato confermato che l'esposizione o la pubblicazione dell'immagine altrui, a norma dell'art. 10 c.c.. e degli artt. 96 e 97 L. n. 633/1941, è abusiva non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona o senza il concorso delle altre circostanze espressamente previste dalla legge come idonee a escludere la tutela del diritto alla riservatezza, come la notorietà del soggetto ripreso, l'ufficio pubblico dallo stesso ricoperto, la necessità di perseguire finalità di giustizia o di polizia, oppure scopi scientifici, didattici o culturali, o il collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti, cerimonie d'interesse pubblico o svoltisi in pubblico, ma anche quando, pur ricorrendo quel consenso o quelle circostanze, l'esposizione o la pubblicazione sia tale da arrecare pregiudizio all'onore, alla reputazione o al decoro della persona medesima. Il generale divieto di divulgazione del ritratto di una persona, senza il suo consenso, può, tuttavia, essere derogato solo quando la notorietà della persona spieghi o giustifichi un effettivo pubblico interesse ad una maggiore conoscenza della stessa e ad una più completa informazione, sempre che non ne derivi pregiudizio all'onore, alla reputazione o al decoro di questa. 
Cass. Civ., Sez. III, n. 15763/2015


venerdì 11 settembre 2015

Stalking

La cassazione ha affermato che  le condotte diffamatorie, non accompagnate da uno stato di ansia o paura nelle persone offese, non sono idonee ad integrare il delitto di stalking,  non potendo lo stesso peraltro desumersi da massime di comune esperienza.
La condotta persecutoria è composta da più eventi, la cui conseguenza è l'alterazione della condizioni di vita della persona offesa che si protrae per un apprezzabile lasso di tempo, impedendo a questa l'ordinaria gestione della vita quotidiana.
Stalking è una parola di origine inglese che significa, letteralmente "fare la posta". Penalmente qualifica comportamenti reiterati nel tempo, consistenti in minacce, molestie ed atti lesivi, che cagionano alla persona offesa un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore.
Cass. Pen., Sez. V, 26/08/2015, n. 35765


giovedì 28 maggio 2015

Responsabilità professionale avvocato.

La responsabilità del prestatore d'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente. Qualora si tratti dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici.
Cass. Civ., Sez. III, 20 maggio 2015, n. 10526

mercoledì 20 maggio 2015

Circolazione stradale verbale meccanizzato valida notifica senza sottoscrizione autografa

La Cassazione ha stabilito che la notifica del verbale di accertamento privo della sottoscrizione autografa degli accertatori deve ritenersi legittima se esso risulta redatto con sistema meccanizzato o di elaborazione dati, come previsto dagli artt. 383, comma 4, e 385, commi 3 e 4, del Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice, e dall'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 39 del 1993, secondo il quale, nella redazione degli atti amministrativi, la firma autografa è sostituita, a tutti gli effetti, dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile dell'atto, che, nella specie, è il verbalizzante. Tale indicazione consente di affermare la sicura attribuibilità dell'atto al soggetto che, secondo le norme positive, deve esserne l'autore.
Cass. Civ., Sez. VI, 13 maggio 2015, n. 9815

lunedì 11 maggio 2015

Installazione tende regime autorizzatorio

Il TAR Molise ha stabilito che, a seguito delle recenti modifiche apportate all'art. 6 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, in ultimo con il D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, che l'intervento edilizio costituito dall'installazione di una struttura di supporto di una tenda solare, per quanto di una certa ampiezza, deve intendersi di manutenzione straordinaria non sottoposto al regime del permesso di costruire e, dunque, può essere eseguito senza alcun titolo abilitativo, previa semplice comunicazione, anche per via telematica, di inizio lavori.
T.A.R. Molise, Sez. I, 4 maggio 2015, n. 181

venerdì 3 aprile 2015

Responsabilità gestore locale pubblico per schiamazzi clienti.

Risponde della contravvenzione di cui al 1° comma dell'art. 659 c.p. il gestore di un locale pubblico per il disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone arrecato dagli avventori dell'esercizio pubblico al di fuori del locale, quando sia dimostrato che egli non ha esercitato il potere di controllo che gli compete e che a tale omissione è riconducibile la verificazione dell'evento.
Cass. Pen., Sez. III, 26/03/2015, n. 12967


Fondo ghiacciato responsabilità gestore autostrade

Nei confronti del proprietario o del concessionario della rete autostradale, destinata per la propria natura intrinseca alla percorrenza veloce in piena sicurezza, si configurala responsabilità ex art. 2051 c.c. (cose in custodia), potendosi ravvisare in tale soggetto l'effettiva possibilità di controllo della sede stradale e delle carreggiate. Il custode, per potersi sottrarre a simile responsabilità, è tenuto a dimostrare l'esistenza del caso fortuito, che si configura ogniqualvolta che l'evento dannoso si sia verificato prima che l'ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell'intervento, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi.
Cass. Civ., Sez. II, 27/03/2015, n. 6245

martedì 31 marzo 2015

Medico generico responsabilità ASL

L’A.S.L. è responsabile ex art. 1228 cod. civ. del fatto illecito commesso dal medico generico, con essa convenzionato, nell’esecuzione di prestazioni curative che siano comprese tra quelle assicurate e garantite dal S. S. N. in base ai livelli stabiliti dalla legge.
Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 6243 del 27/03/2015


lunedì 2 marzo 2015

Parcella avvocato sostituzione

La Cassazione ha affermato che la parcella della prestazione professionale di un avvocato può essere legittimamente sostituita da una successiva se la prima non è accettata dal cliente. E se l’avvocato dimostra le ragioni per un maggiore compenso, la prima nota spese non può ritenersi vincolante per il professionista.
La parcella inviata al cliente può ritenersi a tutti gli effetti una proposta ex art. 1344 c.c., ne consegue che, ove non accettata dal soggetto a cui indirizzata, non può avere efficacia vincolante per il professionista.
Cass. Civ., Sez. II, 18/01/2013 n. 1284

giovedì 26 febbraio 2015

Responsabilità civile dei Magistrati

Il 24/02/2015 è stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati il disegno di legge in materia di responsabilità civile dei magistrati. La nuova legge, non ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale, va a sostituire la precedente legge n. 117/1988 (c.d. legge Vassalli).
I punti salienti della legge sono i seguenti:
1) l'azione ha natura indiretta ossia dovrà essere esercitata dal danneggiato nei confronti dello Stato, il quale, a volta, in persona del Presidente del Consiglio avrà azione di rivalsa verso il magistrato nella misura massima di una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio;
2) oggetto del risarcimento sono i danni sia patrimoniali che non patrimoniali (anche quelli non derivanti da misure di privazione della libertà personale);
3) rispetto alla precedente legge Vassalli è stato rimosso il filtro di ammissibilità all'azione di risarcimento;
4) tre anni è il termine per proporre l'azione di risarcimento;
5) rispetto alla precedente legge Vassalli si è allargarta la fattispecie della colpa grave, che ora ricomprende:
- manifesta violazione della legge e del diritto della UE;
- travisamento del fatto e delle prove;
- affermazione di un fatto la cui sussistenza è invece smentita dalle prove;
- assunzione di un provvedimento cautelare al di fuori dei casi consentiti dalla legge.




mercoledì 25 febbraio 2015

Opere musicali plagio

In tema di plagio di un opera musicale, un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in un'altra non costituisce di per sé plagio, dovendosi accertare, da parte del giudice del merito, se il frammento innestato nel nuovo testo poetico-letterario abbia o meno conservato una identità di significato poetico-letterario ovvero abbia evidenziato, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto a quello che ha avuto nell'opera anteriore.
La Cassazione ritiene che, secondo le teorie estetiche, il discorso poetico, partendo dal materiale linguistico del discorso comune, compie già rispetto a questo uno scarto semantico e, agli elementi denotativi di quella base di partenza, conferisce connotazioni aggiuntive polisense via via nuove, diverse da testo a testo, sempre riferite ad una contestualità determinata.
Ne consegue che la realtà e la società entrano nell'opera d'arte non perché procedano con meccanica immediatezza dai contenuti denotativi di base, bensì in quanto sono mediati dalla struttura polisensa delle trasformazioni (connotative) formali, che variano di "arte" in "arte", a seconda del peculiare sistema segnico di ognuna. Anche i discorsi artistici, percorrendo la strada della cd. "verità estetica" e, dunque, "non scientifica", forniscono, ognuno mediante gli specifici linguaggi complessi, una conoscenza del mondo nient'affatto "inferiore" a quella "scientifica".
Cass. Civ., Sez. I, 19/02/2015, n. 3340

venerdì 30 gennaio 2015

Maltrattamenti in famiglia

La Suprema Corte ha affermato che integra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi la condotta del marito che sottopone la moglie, nell'arco di un anno, a tre gravi e violente aggressioni fisiche, le quali si aggiungono a una situazione familiare contrassegnata dallo stato di frequente ubriachezza dello stesso, durante il quale egli sottopone la donna a insulti e vessazioni morali. 
La Corte di Cassazione ha, innanzitutto, ribadito il fermo orientamento giurisprudenziale che individua nel delitto di maltrattamenti in famiglia un reato abituale, caratterizzato dall'imposizione alla vittima di un regime di vita oggettivamente vessatorio, connotato da sofferenze fisiche e/o morali.
Per la sussistenza del reato non è necessario che tutte le condotte di maltrattamento integrino gli estremi di un reato, se singolarmente considerate; tali condotte possono però configurare, complessivamente considerate, il reato di maltrattamenti quando realizzino un regime di vita avvilente e mortificante, diretto a ledere l'integrità morale della persona offesa. Assumono, dunque, rilevanza, ai fini della sussistenza del delitto ex art. 572 c.p., anche i comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall'imputato nei confronti del coniuge, nonché gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali. 
Il reato è, infine, integrato anche quando le condotte di maltrattamenti non realizzino l'unico registro comunicativo col familiare, ben potendo essere intervallate da condotte non connotate da mancanza di rispetto e da aggressività o persino dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la persona offesa.
Cass. Pen., Sez. VI, 14/01/2015, n. 1400


lunedì 26 gennaio 2015

Reati tributari responsabilità presidente consiglio d'amministrazione

La Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui in mancanza di un atto formale che provi la ripartizione di funzioni tra più soggetti, non si può arrivare ad escludere il dolo generico del reato di omesso versamento di ritenute certificate, in quanto l'essersi disinteressato del corretto adempimento degli obblighi contabili e tributari direttamente discendenti dalla carica sociale assunta (nella specie, di Presidente del C.d.A.) non esclude la responsabilità dolosa. 
La figura del presidente del C.d.a. ha una alta valenza e tra i suoi importanti obblighi anche quello di vigilare sull'operato sia dei collaboratori sia dei consulenti fiscali. La persona che assume per libera scelta una carica societaria, che comporta, tra l'altro, l'assolvimento di determinati obblighi di rilevanza pubblicistica, qualora rinunci, in assenza di un giustificato motivo all'esercizio dei poteri di controllo che la carica gli attribuisce non può ritenersi esonerata dalle responsabilità inerenti la carica stessa.
Cass. Pen., Sez. III, 16/01/2015, n. 1975 

giovedì 22 gennaio 2015

Diffamazione a mezzo stampa

La tutela dei diritti all’onore, alla reputazione e alla riservatezza di persone estranee alle indagini non comporta l’automatica carenza di interesse pubblico alla divulgazione del contenuto di intercettazioni recanti notizie potenzialmente lesive di tali diritti, riprodotte in un atto del procedimento penale (nella specie, ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere) non più coperto da segreto investigativo, ma implica una verifica della sua ricorrenza caso per caso, da compiersi con riferimento al carattere funzionale che la conoscenza di tali notizie presenta rispetto a quella della vicenda oggetto dell’indagine penale.
Cass. Civ., Sez. III, 10/10/2014 n. 21404


giovedì 15 gennaio 2015

Alunni disabili sostegno scolastico rimodulazione supporto

Il piano educativo individualizzato per il sostegno scolastico dell’alunno in situazione di handicap, una volta elaborato con il concorso degli insegnanti e degli operatori della sanità pubblica, comporta l’obbligo dell’amministrazione scolastica – priva di potere discrezione a rimodulare la misura del supporto integrativo in ragione della scarsità di risorse disponibili per il servizio – di apprestare gli interventi corrispondenti alle esigenze rilevate, la cui omissione od insufficienza è lesiva del diritto dell’inabile ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico, determinando – in assenza di una corrispondente contrazione dell’offerta formativa per i normodotati – una discriminazione indiretta, per la cui repressione è competente il giudice ordinario.
Cass., SS.UU., sentenza n. 25011 del 25/11/2014

martedì 13 gennaio 2015

Mancata rinnovazione ipoteca

La mancata rinnovazione dell'ipoteca comporta, allo spirare del termine di decadenza ventennale, non l'estinzione del titolo esecutivo - permanendo la possibilità di procedere in forza di esso ad una nuova iscrizione ipotecaria con un nuovo grado -, ma l'estinzione dell'ipoteca stessa, con la conseguenza che è preclusa una reiscrizione opponibile ai terzi acquirenti, i quali abbiano trascritto il loro titolo successivamente all'iscrizione non rinnovata, che integra una trascrizione opponibile al creditore (ex) ipotecario secondo le ordinarie regole di pubblicità immobiliare.
Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 5628 del 12/03/2014

mercoledì 7 gennaio 2015

Sinistro stradale caso fortuito abbagliamento colpo di sole

L'abbagliamento da raggi solari del conducente di un automezzo non integra il caso fortuito e, pertanto, non esclude la penale responsabilità per danni che ne siano derivati alle persone.
La Corte ribadisce la sua rigorosa posizioni in ordine all'individuazione di ipotesi di caso fortuito, il quale ricorre quando si rinviene un fattore causale, sopravvenuto, concomitante o preesistente ed indipendente dalla condotta del soggetto, che renda eccezionalmente possibile il verificarsi di un evento assolutamente non prevedibile ed evitabile. Di conseguenza, questa circostanza non potrà mai ritenersi verificata in presenza di abbagliamenti di colpo di sole in capo a soggetti che conducono un auto, i quali, in tali condizioni, devono adottare tutte le più opportune cautele al fine di non creare intralcio alla circolazione o l'insorgere di altri pericoli ed attendere di superare gli effetti del fenomeno impeditivo della visibilità.
Cass. Pen., Sez. IV, 18/12/2014, n. 52649