martedì 8 marzo 2016

Requisiti soggettivi per essere ammessi alla procedura di crisi da sovraindebitamento.

La Cassazione ha fissato i criteri per l'individuazione del "consumatore" ossia del soggetto ammesso a beneficiare della procedura prevista dalla Legge n. 3/2012.
La suprema Corte ha, infatti, affermato che "in tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di consumatore abilitato al piano ai sensi della citata legge non si riferisce necessariamente ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni di impresa o professionali, sia pregresse che attuali, essendo richiesto soltanto che dette relazioni non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, atteso che nello stato di insolvenza finale del consumatore non possono comparire obbligazioni assunte per scopi relativi alle predette attività di impresa o professionali. Pertanto, è consumatore ai sensi della legge succitata soltanto il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo della medesima legge."
Gli Ermellini hanno puntualizzato che, per poter usufruire della procedura in oggetto, il debitore  può anche aver rivestito in passato la qualità di imprenditore ciò che rileva è che non residuano posizioni debitorie legata ai passati rapporti aventi natura imprenditoriale.
Ciò è dovuto al fatto che, rispetto alla precedente disciplina dettata dall'art. 1, 2° comma lett. b), del D.L. n. 212/2011 ove si parlava espressamente di "sovraindebitamento del consumatore", la rivisitazione dell'istituto conseguente alla Legge n. 3/2012 ha escluso ogni riferimento al "consumatore".

Cass. Civ., Sez. I, 01/02/2016 n. 1869

martedì 1 marzo 2016

Responsabilità professionale medica evitabilità intervento rischioso.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha recentemente dichiarato un chirurgo responsabile della morte di una paziente, conseguita al termine di un intervento di rimozione di ernia ombelicale, eseguito nonostante le condizioni cliniche della vittima lo sconsigliassero ed anzi lo rendessero altamente rischioso. La condotta del sanitario, nella circostanza, è stata ritenuta ulteriormente imprudente in quanto l'ospedale ove questi operava era privo del reparto di rianimazione: motivazioni, queste, giudicate idonee e sufficienti a radicare un giudizio di responsabilità civile a carico del medico.
Nel caso in questione, la responsabilità del chirurgo che aveva eseguito l'intervento letale, è stata riscontrata sulla scorta di una delle consulenze tecniche d'ufficio, quella ritenuta più affidabile fra le varie svolte, nella quale l'ausiliario del giudice deduceva che:
a) l'imprudenza del sanitario  consisteva nell'aver deciso di eseguire l'intervento nonostante le condizioni cliniche della paziente non solo lo sconsigliassero, ma anzi lo rendessero altamente rischioso;
b) l'intervento chirurgico in questione era "assolutamente privo del carattere di urgenza", e le sue conseguenze "prevedibili ex ante";
c) l'ospedale ove l'operazione venne eseguita era priva del reparto di rianimazione.
In estrema sintesi, secondo i Giudici di legittimità la colpa del chirurgo deve ravvisarsi nell'aver eseguito un intervento rischioso che poteva essere evitato.

Cass. Civ., Sez. III, 18/02/2016 n. 3173