martedì 15 dicembre 2015

Composizione crisi sovraindebitamento omologazione in difetto di approvazione del creditore.

Il D.L. 22/12/2011 n. 212, successivamente novellato dalla legge 27/01/2012, n. 3, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del sovraindebitamento, che si applica all'insolvente civile rispetto al quale, stante il difetto della qualifica di imprenditore, non possono trovar applicazione le procedure concorsuali. 
Occorre preliminarmente, ai sensi degli artt. 11 e 12 della citata legge, far predisporre il piano del consumatore dall'organismo di composizione della crisi, una volta predisposto detto piano viene trasmesso al giudice che, in caso di omologa, ne dispone l'immediata pubblicazione. Per potersi omologare l'accordo deve prevedere il rispetto della percentuale fissata nell'articolo 11, comma 2, e, nel contempo, assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo.
La sentenza in esame si dimostra interessante poiché resa in caso di mancata adesione di uno dei creditori ed in presenza di contestazioni circa la convenienza dell'accordo.
Il Tribunale di Napoli ha chiarito che "deve essere omologato il piano del consumatore di cui alla legge n. 3/2012 per la composizione della crisi da sovraindebitamento, che porta al dimezzamento del debito costituito dal mutuo ipotecario nei confronti della banca, dovendosi ritenere che detto piano, pur prevedendo il pagamento in misura parziale del creditore ipotecario stante la stima del valore commerciale del bene immobile, e il pagamento nella misura integrale del credito chirografo (ad esclusione degli interessi), assicura per essi una percentuale di soddisfazione presumibilmente non inferiore a quella che otterrebbero in caso di liquidazione, dovendosi osservare che la valutazione sulla convenienza deve far riferimento anche ai costi delle procedure esecutive individuali, funzionali alla liquidazione coattiva del bene ed ai tempi processuali non brevi oltre all’incognita di realizzazione rimessa all’esito della vendita nelle previste forme giudiziali e ricordare che per legge il piano non è sottoposto ad alcuna votazione e quindi non necessita di alcuna approvazione da parte dei creditori".
Tribunale di Napoli, Volontaria Giurisdizione, sentenza del 28/10/2015

venerdì 11 dicembre 2015

Applicabilità dell'IRAP ai professionisti.

In tema  di  IRAP la Corte di Cassazione, inserendosi nel solco già tracciato dai Giudici della Consulta, ha più volte affermato che, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1°, e 3, comma  1°, lett. c), del D.Leg.vo 15 dicembre 1996, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R.  22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1°, e all’art. 53, comma 1°, del medesimo D.P.R., è  escluso  dall’applicazione dell’imposta in questione ogniqualvolta si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma  organizzazione,  il  cui accertamento  spetta  al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) usufruisca in modo non occasionale di dipendenti e/o di collaboratori esterni; b) impieghi beni strumentali di rilevante valore ossia che eccedano, secondo l’id quod plerumque accidit,  il  minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza  di organizzazione.
I presupposti, dunque, che giustificano l’imposizione dell’IRAP nei confronti di un libero professionista, sono, in sintesi,  costituiti  dal  possesso  di  beni  strumentali eccedenti il minimo indispensabile  per  l'esercizio  della  professione o dall'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui; al di fuori di queste ipotesi l’imposta in questione non trova mai ragione d’essere e la sua debenza non può essere giustificata e deve considerarsi illegittima.  
A nulla rileva, poi, che l'attività libero professionale sia contraddistinta dalla continuità. Invero, mentre l'elemento organizzativo è fisiologico alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché connaturata dal carattere della abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata  diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa.
Secondo la Corte Costituzionale, pertanto, si può benissimo configurare un esercizio "non organizzato" dell'attività professionale, il quale, per ciò stesso, è da ritenersi al di fuori del campo di applicazione dell'imposta.
La Cassazione ha elaborato una gran mole di lavoro circa la esatta definizione del requisito dell'autonoma organizzazione; ci si riferisce, in particolar modo, alla serie di sentenze depositate in data 16/02/2007 e contraddistinte dal n. 3672 al n. 3682, in data 05/03/2007 con numeri compresi tra 5009 al 5015, in data 19/03/2007 recanti numeri dal 6500 al 6505, in data 30/03/2007 con numeri dal 7891 al 7899 e, infine, in data 02/04/2007 e contraddistinte dai numeri che vanno dal 8166 sino all'8177, che hanno rappresentato, e rappresentano tutt'ora, il perno interpretativo della materia che ci occupa ed il punto di partenza per le decisioni posteriori chiamate ad intervenire sullo stesso argomento. In esse si delinea un indirizzo interpretativo secondo il quale, fermi restando i due principi cardine sopra richiamati (impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività ed impiego in maniera non occasionale di dipendenti o collaboratori ) si ha esercizio di "attività autonomamente organizzata" soggetta ad Irap ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 quando l'attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad una struttura che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Non risulta, invece, di ostacolo alla sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'Irap il fatto che l'apporto del titolare sia insostituibile in quanto consistente in un'attività riservata agli iscritti ad un albo. Ciò perchè possono benissimo ipotizzarsi autonome fasi di lavorazione (organizzazione logistica, competenze interne, distribuzione del lavoro, ricerche, relazioni preparatorie, stime preventive, eccetera) che confluiscono poi nella sintesi del prodotto finale elaborato dal professionista, cosa che configura così la debenza dell'imposta. Sempre secondo l'orientamento delineato dalle sentenze sopra richiamate, con l'espressione contenuta nella norma "pertanto sono soggetti" ad Irap "le persone fisiche esercenti arti e professioni", il legislatore non ha inteso indicare una consequenzialità necessaria, ma solo definire la platea dei soggetti che possono (e non che devono necessariamente) essere soggetti ad imposta. Ciò in quanto l'autonoma organizzazione costituisce presupposto oggettivo imprescindibile (diverso dal presupposto dalla produzione di reddito) che attribuisce all'imposta una natura reale. Concludono esse decisioni respingendo la  tesi dell'Agenzia delle Entrate secondo cui il legislatore avrebbe istituito una sorta di presunzione di esistenza del presupposto impositivo. La netta contrapposizione rispetto alle posizioni sulle quali si era arroccata l'Agenzia delle Entrate emerge, altresì, in modo netto anche nella sentenza n. 5010 del 05/03/2007, nella quale si legge che non appare condivisibile la tesi prospettata dall'Avvocatura Erariale secondo cui le due parole aggiunte (autonoma organizzazione) avrebbero solo lo scopo di  rendere più chiaro il motivo dell'esclusione dai soggetti passivi dei co.co.co.. Detta sentenza, poi, richiama apertamente il contenuto della famosa “relazione Gallo”, ripresa nella relazione ministeriale di accompagnamento al decreto delegato n. 446/1997, la quale afferma che “l'organizzazione si risolve per il suo titolare in disponibilità di beni ed in prestazioni economicamente valutabili corrispondenti alla potenzialià produttiva dell'organizzazione stessa” e giunge a concludere che “si ha esercizio di attività soggetta ad Irap ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 quando l’attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Di guisa che l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale , simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esplicitamente esclusi dall’applicazione dell’Irap (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti)”
Si può, dunque, affermare senza tema di smentita che non è sufficiente, ai fini dell'imposizione IRAP, quella sorta di mera auto organizzazione, che, secondo l'Avvocatura erariale, sarebbe propria anche delle attività abituali che danno luogo all’applicazione dell’IVA.