venerdì 31 ottobre 2014

Responsabilità P.A. caduta su marciapiede

La presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato.
Nella fattispecie la Corte di cassazione ha affermato che sussiste la responsabilità dell'Ente pubblico nel caso di caduta di un pedone, dovuta ad un avvallamento presente sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, lasciato aperto al calpestio del pubblico e privo di ogni segnalazione delle condizioni di pericolo.
Cass. Civ., Sez. VI, 23 ottobre 2014, n. 22528

mercoledì 29 ottobre 2014

Caduta albero responsabilità ente proprietario strada pubblica

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito è tenuto ad individuare, prevenire o attenuare i rischi derivanti dalla proprietà privata: in primo luogo, segnalando ai proprietari interessati la situazione di pericolo; in secondo luogo, invitando i medesimi ad eliminarla; in terzo luogo, inibendo la circolazione.
Ne consegue che detto ente, pur non rivestendo la qualità di custode dei fondi privati che fiancheggiano la strada, né avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia l'obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada medesima e, in caso affermativo, attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. 
In virtù di ciò, ove la situazione di pericolo si trasformi in pregiudizio per un utente della strada, si configura la colpa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2043 c.c., dell'ente proprietario della strada pubblica perché questo, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza di una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questa, né adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione. 
Cass. Civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22330

martedì 28 ottobre 2014

Parcella avvocato

L'avvocato ha diritto ad ottenere il pagamento della parcella anche quando l'attività consista solo nella consulenza preliminare a cui non segue il conferimento di un incarico formale.
Infatti, non è la firma della procura processuale a far perfezionare il rapporto professionale fra avvocato e cliente, atteso che l'incarico può esser conferito anche oralmente ovvero tramite comportamenti concludenti, tipo la consegna di documentazione o la richiesta di un preventivo parere di fattibilità.
Dunque, ogniqualvolta il professionista impiega il proprio tempo, le proprie risorse e competenze a favore di un cliente, va in ogni caso compensato secondo il tariffario forense.
Cass. Civ. Sez VI, ordinanza n. 22737 del 27/10/2014

lunedì 20 ottobre 2014

Pubblico dipendente cessione del badge

La cessione del badge ad altro soggetto affinché attesti falsamente la presenza in ufficio, integra gli estremi del reato di truffa aggravata.
Lo afferma la Cassazione confermando il consolidato orientamento secondo il quale in tale ipotesi non si è in presenza di falso in atto pubblico ma di truffa aggravata.
Cass., Sez. III Pen., 08/10/2014, n. 41935

giovedì 16 ottobre 2014

Agevolazioni prima casa e comunione ordinaria

A differenza della comunione legale fra coniugi, la comunione ordinaria non osta alla fruizione delle agevolazioni per la prima casa. La comunione legale tra i coniugi ex art. 177 c.p.c., pertanto, impedisce il godimento dell'agevolazione in questione mentre la titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude detto beneficio.
 Cass. Civ., Sez. VI, Ord., 8 ottobre 2014, n. 21289

mercoledì 15 ottobre 2014

Compensazione delle cartelle esattoriali.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con decreto pubblicato sulla GU del 10/10/2014, ha autorizzato la compensazione delle cartelle esattoriali notificate anteriormente al 31 marzo 2014 in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali maturati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
La somma iscritta a ruolo deve essere di importo inferiore o pari al credito vantato, e i crediti da portare in compensazione devono essere certificati secondo quanto prescritto nei precedenti Decreti del MEF datati 22 maggio e 25 giugno 2012 e successive modificazioni.

lunedì 6 ottobre 2014

Fisco, prelievi bancari professionisti

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 228/2014, ha affermato che i prelievi dal conto corrente bancario effettuati da professionisti e lavoratori autonomi senza giustificazione non possono essere considerati automaticamente come compensi in nero. La questione era stata sollevata dalla Commissioine Tributaria Regionale del Lazio che aveva evidenziato l'irrazionalità della presunzione posta a favore del fisco, la quale trasformava i prelievi bancari senza giustificazione in compensi non dichiarati. 

Acquisto immobile, usi civici, responsabilità notaio

Per usi civici si intendono i diritti costituiti sulla proprietà altrui, pubblica o privata, e spettanti ad una collettività di persone", essi sono inalienabili ed imprescrittibili.
E' principio ormai pacifico che rientri tra gli obblighi del notaio, che sia incaricato della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed in particolare il compimento delle cosiddette visure catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale volontà per concorde volontà delle parti.
In relazione a tale obbligo, il notaio non può invocare la limitazione della responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 cod.civ. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad una ipotesi di imperizia, cui si applica quella limitazione, bensì a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, cod. civ., rispetto alla quale rileva. 
Inoltre, il notaio che ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull'immobile, può essere condannato al risarcimento del danno in favore del venditore in forma specifica, mediante la cancellazione del vincolo, con il pagamento della somma necessaria a tal fine per il compimento delle richieste formalità, a prescindere dal consenso del terzo creditore ipotecario" (Cass. Civ., sez. III , sent. 19 giugno 2013, n.15305 ).
Nel caso, poi, in il notaio rogante non adempia l'obbligazione di verificare l'esistenza di iscrizioni ipotecarie relative all'immobile compravenduto, dichiarando come libero un bene che risulta, invece, gravato da ipoteca e sottoposto a procedura esecutiva, il risarcimento del danno conseguente può essere disposto anche in forma specifica, mediante condanna del notaio alla cancellazione della formalità non rilevata, a condizione, tuttavia, che vi sia la possibilità di ottenere, a tal fine, il consenso del creditore procedente e che il relativo incombente non sia eccessivamente gravoso, sia per la natura dell'attività occorrente, che per la congruità, rispetto al danno, della somma da pagare. È onere del giudice di merito, il quale intenda condannare il notaio al risarcimento in forma specifica, motivare il proprio provvedimento, dando conto della sussistenza di tali presupposti" (Cass. Civ., sez. III , sent. 16 gennaio 2013, n.903).
Il notaio, però, non risponde quando l'errore sia stato causato da una condotta negligente del conservatore dei registri immobiliari, che abbia reso di fatto impossibile l'individuazione dell'iscrizione ipotecaria con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale (Cass. Civ., s ez. III, sent. 28 settembre 2012, n. 16549).
Il notaio, infine, è tenuto a verificare l'eventuale esistenza di usi civici sull'immobile compravenduto, poiché essi comportano la nullità di qualsiasi ipotesi di trasferimento che veda coinvolti soggetti privati, e ciò indipendentemente dalla circostanza che la stessa risulti riconosciuta in pronunce emesse da organi giudiziari ordinari. 
Come ripetutamente affermato in giurisprudenza, i beni aggravati da usi civici debbono essere, infatti, assimilati ai beni demaniali.
La particolarità del regime a cui sono sottoposti i beni in esame determina che, al di fuori dei procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, la preminenza del pubblico interesse che ha impresso al bene immobile il vincolo dell'uso civico ne vieta ogni circolazione (cfr., in tal senso, Cass. Civ., Sez. III, 28 settembre 2011, n. 19792; T.R.G.A., 17 ottobre 2005, n. 284) e, pertanto, ogni atto di cessione tra privati di un tale bene - pur se riconosciuto come intervenuto - è affetto da nullità (Cass.Civ., Sez. III, 3 febbraio 2004, n. 1940). 
In altre parole, in materia di terreni soggetti ad uso civico non possono costituirsi proprietà private senza un titolo proveniente dall'autorità che ha il potere di disporne (principio questo a cui si riconnette, tra l'altro, anche l'irrilevanza di stati di prolungato possesso - Trib. Cassino, 7 aprile 2010; App. Roma, Sez. IV, 8 novembre 2006)" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I Ter, sent. 7 febbraio 2013, n. 1369).
Tribunale di Napoli, 16/07/2014 n. 11276.

Responsabilità medica, consenso informato, onere probatorio

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contratto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio, il danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore (medico e/o struttura sanitaria) dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non sia eziologicamente rilevante.
La violazione, poi, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni:
- un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
- nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale. Entrambi i principi, più volte affermati dalla Corte regolatrice, sono stati ribaditi in una recente decisione.
Cass. Civ., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 20547

venerdì 3 ottobre 2014

I cinguettii di Twitter nelle aule dei tribunali stranieri

In Francia un noto uomo politico ha citato Twitter di fronte al Tribunal de Grande Instance de Paris affinché rivelasse i dati e le password di un account fake che, usurpando la sua identità, annunciava falsamente il suo ritiro dalla vita politica. La falsa notizia venne ripresa dalla stampa. Twitter si è difesa affermando che secondo le disposizioni contrattuali del servizio i dati personali dei sottoscrittori degli account vengono cancellati dopo 30 giorni dalla chiusura del medesimo. Nel caso di specie detto periodo è spirato prima che il ricorrente depositasse la sua istanza, pertanto Twitter chiede il rigetto dell'istanza attorea. Il Tribunale parigino accoglie la domanda attrice e, insieme, condanna Twitter al risarcimento del danno per 4000 euro poiché la richiesta informale del ricorrente era stata reiteratamente presentata antecedentemente al termine di cancellazione dei dati.
Anche negli Stati Uniti, presso la Supreme Court of New York, Kings County, è stato affrontato il caso di un account fake di Twitter. In questa specifica fattispecie il fake ha usurpato l'identità di un soggetto e pubblicato sul profilo twitter di questi la foto di abusi su minori mostrati durante un processo per violenze su bambini in corso presso una corte newyorkese, nonostante la proibizione del giudice di scattare immagini durante le udienze. Con questa sentenza il giudice newyorkese, oltre a scagionare completamente l'attore-vittima del falso account, ordina a Twitter di svelare i dati personali del gestorre dell'accontfake.
Il caso affrontato dalla High Court of New Zealandriguarda la campagna "ClimateVoter" organizzata da Greenpeace nel giugno 2014 in vista delle elezioni del 20 settembre 2014. La campagna consisteva nel lancio di un sito web (www.climatevoter.org.nz) e con collegati profili Facebook e Twitter (nello specifico, @ClimateVoterNZ). Secondo la Electoral Commission neozelandese, siffatta campagna aveva ad oggetto argomenti politici, nonché costituiva propaganda elettorale e pertanto doveva obbedire alle disposizioni dell'Electoral Act 1993. Tuttavia la Corte ha accolto le regioni di Greenpeace affermando che le campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica in materia ambientale non costituiscono propoganda elettorale e sono protette della libertà di manifestazione del pensiero.
In Sudafrica, la North Gauteng High Court ha affrontato un caso relativo alla diffusione via blog e Twitter di allegazioni e insinuazioni negative sulle capacità professionali del ricorrente, un soggetto piuttosto noto a livello locale, secondo le quali il ricorrente era coinvolto in frodi ovvero condotte illegittime. Prima che la causa giungesse in decisione, il convenuto ha pubblicato una rettifica sui contenuti diffamatori precedentemente diffusi insieme alle scuse, pertanto il convenuto instava per lo stralcio del contenzioso, rimanendo tuttavia in sospeso la questione delle spese legali. Il giudice ha preso atto delle scuse e delle rettifiche, tuttavia ha posto a carico del convenuto l'intero costo delle spese legali sostenute dall'attore.
Presso la Court of Final Appeal di Hong Kongè giunta in decisione una causa relativa alla diffusione online di un messaggio ritenuto istigatore alla violenza politica. Oltre al rigetto dell'appello del condannato autore del suddetto messaggio, questa decisione è interessante per la critica alla carenza di stringenti norme sul controllo della decenza, offensività e opportunità dei contenuti pubblicati, facendo specifico riferimento a due norme legislative che, seppur rivolte a regolare i mezzi di comunicazione, non contengono alcun riferimento a Internet, lasciando la Rete senza appropriata regolamentazione. Nelle note a piè pagina, si fa riferimento a Twitter proprio come caso esemplare nella divulgazione incontrollata di contenuti.

Legittimo l'accertamento fondato sul consumo unitario dei tovaglioli utilizzati al ristorante

In tema di accertamento presuntivo del reddito di impresa, a norma dell'art. 39 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l'accertamento che ricostruisca i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati.
L'accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l'Ufficio finanziario procede alla rettifica di componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e della fedeltà della contabilità esaminata, sicché essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile.
Il principio, già enunciato dal giudice di legittimità, è stato espressamente riaffermato in una recente pronuncia. Nel caso di specie, rigettando il ricorso dei contribuenti, la Suprema Corte ha ritenuto non censurabile la sentenza impugnata con la quale il giudice tributario aveva ritenuto corretto l'accertamento induttivo effettuato dall'ufficio finanziario a carico di una società di persone esercente l'attività di ristorazione e relativo a ben quindici avvisi di accertamento emessi ai fini delle imposte dirette ed indirette volti al recupero a tassazione di maggiori redditi di impresa e di partecipazione non dichiarati e fondati sul numero dei pasti -desumibile dal consumo dei tovaglioli di carta, ridotto di una percentuale di errore (cd. sfrido), e di stoffa adoperati- maggiore di quelli risultanti dalle fatture e ricevute fiscali emesse negli anni oggetto di contestazione.
In tema di accertamento presuntivo del reddito d'impresa ai sensi del citato art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, osserva ancora la Corte, in conformità ad un indirizzo costante, è legittimo l'accertamento che ricostruisca i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati -risultante, per quelli di carta, dalle fatture o ricevute di acquisto e per quelli di stoffa, dalle ricevute della lavanderia- costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto idoneo, anche di per sé solo, a lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati. Tuttavia, conclude la Cassazione, è evidente che si deve, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale una certa percentuale di tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l'uso da parte dei camerieri, le evenienze più varie per le quali ciascun cliente può essere indotto ad utilizzare più tovaglioli (cd. sfrido).
Cass. Civ., Sez. V, 24 settembre 2014, n. 20060

Telecamere sulla divisa per la Polizia: da usare solo in caso di effettiva necessità

Il 30/09/2014 il Garante della Privacy ha stabilito che gli agenti di Polizia potranno indossare telecamere di ridotte dimensioni, che potranno essere attivate durante pubbliche manifestazioni ma esclusivamente nelle situazioni critiche.
Il Garante della Privacy, con il parere con il quale ha dato l'assenso al nuovo sistema di ripresa avviato in sede sperimentale dal Dipartimento di pubblica sicurezza in quattro città (Torino, Milano, Roma e Napoli), ha stabilito che gli agenti di Polizia potranno indossare telecamere di ridotte dimensioni, che potranno essere attivate durante pubbliche manifestazioni ma esclusivamente nelle situazioni critiche.
Le telecamere, che saranno fornite di schede di memoria con numero seriale che fornirà i dati identificativi dell'agente, saranno applicate al gilet tattico e potranno essere attivate (e disattivate) solo su indicazione del funzionario che dirige il reparto di Polizia. Alla fine del servizio, la documentazione video sarà consegnata alla locale Polizia scientifica.
Secondo il Garante, tale sistema, pur finalizzato alla tutela dell'ordine pubblico, non dovrà ledere i principi in tema di trattamento dei dati personali alla base del Codice della Privacy. Pertanto, le immagini riprese non dovranno rispetto alla finalità per le quali sono state raccolte e il sistema potrà essere attivato solo nei casi di reale situazione di pericolo di turbamento della pubblica sicurezza.
Il Garante ha, quindi, ulteriormente specificato che i video potranno essere conservati solo per un periodo limitato di tempo e poi dovranno essere cancellate.

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giovedì 2 ottobre 2014

La molestia su Facebook è reato

Così ha stabilito la I Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 37596 del 12/09/2014, decisione in cui ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di molestie o disturbo alle persone, va considerato luogo aperto al pubblico la piattaforma sociale Facebook, quale luogo “virtuale” aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete e che, pertanto, integra la contravvenzione di cui all’art. 660 cod.pen. l’invio di messaggi molesti, “postati” sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa.

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Bimbo cade dallo scivolo in un parco in ora notturna: no risarcimento per il genitore imprudente

Un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino piccolo, in ora notturna in un parco giochi consentendogli di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
L'utilizzo di strutture esistenti in un parco giochi -a meno che non risulti provato che le stesse siano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto- non si connota di per sé, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti.
In particolare, un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino piccolo, in ora notturna -e perciò priva di luce solare- in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare. Tali principi sono stati espressi dal giudice di legittimità in una recente decisione.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice distrettuale aveva accolto la domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti di una amministrazione comunale dai genitori di un minore vittima di una caduta mentre si trovava sullo scivolo sito all'interno del parco comunale.
Nella fattispecie, rileva la Cassazione, non risulta da alcun elemento che lo scivolo fosse in cattivo stato di conservazione o comunque dotato di un qualche specifico elemento di pericolosità.
La sentenza impugnata non ricostruisce le modalità concrete della caduta, osservando solo che lo scivolo era «ubicato all'interno di un'aiuola in terra battuta, coperta da uno strato assai rarefatto di sabbia tufacea, con radi cespugli erbosi» e che ai piedi dell'attrezzo c'era una concavità, priva di qualsiasi accumulo di terriccio o di sabbia. Da tali elementi, prosegue la sentenza in esame, essa trae la conclusione che la durezza dell'impatto certamente poteva avere causato il danno lamentato dai genitori del bambino, tanto più che l'amministrazione comunale avrebbe dovuto prevedere il rischio approntando un adeguato quantitativo di sabbia ai piedi dello scivolo, non potendo pretendere «un elevato contributo di attenzione ed una perfetta perizia da un bambino».
In tal modo tuttavia, specifica la Suprema Corte, la sentenza impugnata è incorsa nella violazione dell'art. 2043 c.c., non avendo fatto corretta applicazione dei principi circa la prevedibilità dell'evento dannoso.
Infatti, la caduta di un bambino di tre anni e mezzo di età da uno scivolo in ora notturna è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado di normale diligenza.
Il fatto che ai piedi dello scivolo vi fosse una buca o -come si dice- una conca, un avvallamento che aumenta il rischio di cadute pericolose non fa che rendere ancora più prevedibile l'evento dannoso; sicché aumentano le probabilità che la cooperazione colposa del soggetto danneggiato -nel caso degli adulti tenuti alla vigilanza sul bambino- possa avere una efficacia causale del tutto assorbente ai sensi dell'art. 1227 c.c., assumendo la cosa il ruolo puro e semplice di occasione dell'evento.
In altri termini, conclude la pronuncia in epigrafe, un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino così piccolo, in ora notturna -e perciò priva di luce solare- in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
Cass. Civ., Sez. III, 26 maggio 2014, n. 11657

Sinistro causato da veicolo non identificato. Il danneggiato deve anche provare che l'identificazione dell'altro conducente era impossibile

Nell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, incombe sul danneggiato, che promuova richiesta di risarcimento dei danni nei confronti del Fondo di garanzia, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. a), L. 24 novembre 1969, n. 990, applicabile ratione temporis, l'onere di provare, oltre che il sinistro si è verificato per la condotta dolosa o colposa di altro veicolo o natante, anche che il conducente sia rimasto sconosciuto.
Il principio, già espresso dal giudice di legittimità, è stato recentemente ribadito.
Nel caso di specie, il danneggiato aveva convenuto in giudizio una compagnia assicurativa, quale impresa designata dal Fondo di garanzia vittime della strada, chiedendo i danni conseguenti ad un incidente stradale nel quale era stato coinvolto ad opera di un motociclo rimasto non identificato, mentre percorreva una strada urbana con la bicicletta. In entrambi i gradi di giudizio la domanda era stata rigettata.
Al fine di rispettare la ratio della norma -che è quella di risarcire il danneggiato, ma anche di evitare possibili frodi al Fondo- precisa la Corte regolatrice, si è richiesta la prova, non solo che il sinistro vi sia effettivamente stato ad opera di veicolo sconosciuto, ma anche che la non identificazione dello stesso sia dipesa da impossibilità incolpevole del danneggiato. In tale contesto, precisa la pronuncia, è da escludere ogni automatismo derivante dalla presenza-assenza della denuncia/querela e nel non imporre al danneggiato l'onere di ulteriori indagini articolate o complesse, non essendo richiesto alla vittima di mantenere un comportamento di non comune diligenza, avuto riguardo alle sue condizioni psicofisiche ed alle circostanze del caso concreto.
Quindi, conclude la Cassazione, rilievo è attribuito al principio del libero convincimento del giudice, per cui questi deve valutare globalmente le risultanze processuali, secondo il suo prudente apprezzamento, dando conto degli elementi sui quali abbia inteso fondarlo.
Cass. Civ., Sez. III, 29 maggio 2014, n. 12060

mercoledì 1 ottobre 2014

La diffamazione tramite internet è diffamazione aggravata

La diffamazione commessa tramite internet integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p. in quanto commessa con "altro mezzo di pubblicità" rispetto alla stampa.
Se è vero che la diffamazione tramite internet è riconducibile all'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi del comma 3 dell'art. 595 c.p., commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità -apparendo, anzi, per la sua peculiarità quasi un tertium genus tra la stampa e, per l'appunto, gli altri mezzi di pubblicità- è pur vero che internet costituisce un mezzo di diffusione di notizie ed idee (al pari, se non di più, di stampa, radio e televisione), di modo che il diritto di esprimere le proprie opinioni, riconosciuto a "tutti" dall'art. 21 Cost., da cui discendono i diritti di informazione e critica, può e deve essere esercitato -quale che ne sia, tra quelli indicati, il mezzo di diffusione- nell'ottica del necessario bilanciamento con l'altro diritto primario all'onore ed alla reputazione e, quindi, nei limiti tradizionalmente tracciati dalla giurisprudenza con specifico riguardo alla critica, della verità obiettiva (per quanto con ciò sia accertabile), della continenza e della pertinenza.
Inoltre, il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione del diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento, fermo restando che la prova di tale danno può essere data con il ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo, a tal fine, come idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della persona colpita, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale.
Tali principi, già espressi dal giudice di legittimità, sono stati nuovamente affermati in una recente pronuncia. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte territoriale aveva confermato la decisione di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali pronunciata in primo grado a carico di persone fisiche e giuridiche ritenute responsabili di fatti di carattere diffamatorio commessi mediante pubblicazione su alcuni siti internet di informazioni, in forma di comunicati stampa, lesive e false dell'onore e della reputazione di un dirigente di un ente pubblico.
Cass. Civ., Sez. III, 25 agosto 2014, n. 18174