venerdì 12 dicembre 2014

Stalking

In una recente sentenza la Corte di Cassazione ha riconosciuto l'esistenza di condotte stalkizzanti sulla base di tre distinte argomentazioni.
In primis, ha affermato che per la reiterazione della condotta sono sufficienti anche due sole condotte di minaccia o di molestia: se è vero, infatti, che la modificazione di uno standard consolidato di comportamenti difficilmente avviene nel giro di pochi giorni, è altrettanto innegabile che la produzione di uno stato di forte ansia o paura ben può essere il risultato di minacce e molestie assai ravvicinate. 
Ha poi aggiunto che in ordine all'evento del perdurante e grave stato di ansia o di paura la norma non richiede che sia accertato uno stato psicologico riconducibile nelle categorie nosologiche, essendo sufficiente la produzione d un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico, essendo sufficiente porre in essere una condizione di elevata pressione psicologica.
Da ultimo, ha individuato il dolo del soggetto agente nella consapevolezza della idoneità delle condotte alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma (art. 612 bis c.p.).
Cass. Pen., Sez. V, 24/11/2014, n. 48690

Multe notifica entro 90 giorni dall'infrazione

Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, ha affermato che l'interpretazione estensiva dell'art. 201 del Codice della strada non è legittima: non è quindi consentito alle amministrazioni far decorrere il termine dei novanta giorni per la notifica delle violazioni del Codice non immediatamente contestate non dal momento in cui la violazione è accertata, ma da quello in cui l'operatore di polizia visiona il fotogramma.
Nella seduta della Camera del 10 dicembre 2014, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha chiarito che tale interpretazione è da considerarsi illegittima e che, pertanto, il momento dal quale decorre il termine di novanta giorni per la notifica della multa è sempre quello della commissione dell'infrazione.

giovedì 11 dicembre 2014

Azione revocatoria

Se l'azione revocatoria ha per oggetto atti posteriori al sorgere del credito, ad integrare l'elemento soggettivo del consilium fraudis, è sufficiente la semplice conoscenza nel debitore e nel terzo acquirente del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del creditore, laddove, se essa ha per oggetto atti anteriori al sorgere del credito, è richiesta, quale condizione per l'esercizio della medesima, oltre all'eventus damni, la dolosa preordinazione dell'atto da parte del debitore al fine di compromettere il soddisfacimento del credito futuro e, in caso di atto a titolo oneroso, la partecipazione del terzo a tale pregiudizievole programma.
La prospettazione dell'anteriorità, ovvero della posteriorità del credito, rispetto all'atto dispositivo, osserva la Cassazione, muta radicalmente il thema decidendum ed il thema probandumdell'azione revocatoria, dovendosi nell'un caso allegare e provare il dolo generico, e cioè la mera consapevolezza, da parte del debitore e del terzo, del danno che derivava dall'atto dispositivo, e nell'altro, invece, la ricorrenza del dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore e del terzo di pregiudicare le ragioni del creditore futuro.
Cass. Civ., Sez. I, 04/12/2014, n. 25658

mercoledì 10 dicembre 2014

Reati alimentari punibilità vendita cibi scaduti

Chiamata a pronunciarsi su un episodio che visto coinvolto il responsabile del punto vendita di un negozio di generi alimentari, in precedenza condannato per aver posto in vendita generi alimentari in cattivo stato di conservazione, la Cassazione ha sostenuto il principio secondo cui il legale rappresentante od il gestore di una società è responsabile per le deficienze dell'organizzazione di impresa e per la mancata vigilanza sull'operato del personale dipendente, salvo che il fatto illecito non appartenga in via esclusiva ai compiti di un preposto, appositamente delegato a tali mansioni.
Il cattivo stato di conservazione dei generi alimentari si viene ad avere ogniqualvolta i medesimi, pur potendo essere ancora perfettamente genuini e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l'osservanza di quelle prescrizioni -di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali- che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione;  in simile ottica a poco rileva la data di scadenza del prodotto, ove ne sia prevista l'indicazione obbligatoria, poiché essa non ha nulla a che vedere con le modalità di conservazione dei prodotti alimentari.
Cass. Pen., Sez. III, 01/12/2014, n. 49995


martedì 9 dicembre 2014

Compenso professionista prestazione incompleta.

Il professionista ha diritto a incassare il compenso anche se non effettua tutte le attività descritte nella parcella pro forma. Infatti, il cliente può omettere il pagamento solo nel caso in cui riesca a dimostrare l’inadempienza in relazione alle singoli voci.
Sull'argomento il Giudice di legittimità ha affermato che la parcella del professionista è assimilabile ad un rendiconto in relazione al quale le contestazioni del cliente non possono rimanere generiche, ma devono riguardare specificamente le singole voci esposte, sorgendo solo in caso di contestazione l’obbligo del professionista di fornire una più appropriata dimostrazione delle sue pretese, le quali, in caso contrario, devono ritenersi provate nel loro fondamento di fatto.
Cass. Civ., Sez. II, 04/12/20014 n. 25642

S.r.l. natura versamenti socio

Stabilire se un determinato versamento tragga origine da un mutuo o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio della società è questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio interessato, non tanto dalla denominazione dell'erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. Il principio, già enunciato dal giudice di legittimità, è stato ribadito di recente con sentenza del 3 dicembre 2014, n. 25585. 
La valutazione, precisa la Cassazione, è riservata al giudice del merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, tranne che per violazione delle regole giuridiche da applicare nell'interpretazione della volontà delle parti o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell'accertamento sorregga.
La decisione ribadisce inoltre che il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé e la censura non può essere formulata mediante l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, essendo imprescindibile la specificazione dei canoni ermeneutici asseritamente violati in concreto, con la precisazione -al di là della indicazione degli articoli di legge in materia- del modo e delle considerazioni con le quali il giudice del merito se ne sarebbe discostato.
Pertanto, conclude la Cassazione, non è sufficiente una mera critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dalla sentenza di merito e, nella formulazione della censura, per il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, occorre riportare il testo integrale dell'atto o della parte in contestazione, anche quando ad essa la sentenza abbia fatto riferimento, riportandone solo in parte il contenuto, se non sia possibile una sicura ricostruzione del diverso significato invocato dal ricorrente.
Cass. Civ., Sez. I, 03/12/2014, n. 25585

venerdì 5 dicembre 2014

Privacy divulgazione dati sensibili diversamente abile

Ai fini dell'ammissibilità del trattamento dei dati personali, la percepibilità ictu oculi, da parte di terzi, della condizione di handicap di una persona non può considerarsi, ai sensi e per gli effetti dell'art. 137, comma 3, D.Lgs. n. 196 del 2003, quale circostanza o fatto reso noto direttamente dall'interessato o attraverso un comportamento di questi in pubblico.
Quanto appena affermato vale ancor di più ove risulti violata la riservatezza di una minore della quale vengono divulgati gli elementi di identificazione ed i dati sensibili attinenti alla sua salute, senza che essi, così come pubblicati -e, in particolare con l'indicazione del nome e del cognome della minore medesima- siano peraltro di interesse pubblico ed essenziali alla informazione.
La circostanza poi che i dati personali siano stati resi noti alla stampa direttamente dagli interessati in una pregressa occasione, precisa la Suprema Corte, non ha valore di consenso tacito al trattamento anche in contesti diversi dalla loro originaria pubblicazione, poiché l'interessato può essere contrario a che l'informazione da lui già resa nota riceva un'ulteriore e più ampia diffusione, dovendosi ritenere che la deroga prevista dalla citata norma concerna solo l'essenzialità del dato trattato e non anche l'interesse pubblico alla sua diffusione, di cui va apprezzata autonomamente l'idoneità, inspecie rispetto al diritto del minore alla riservatezza ed al diritto alla non divulgabilità del proprio domicilio.
Cass. Civ., Sez. III, 25/11/2014, n. 24986 

lunedì 1 dicembre 2014

Sinistro tra autovettura ed autoambulanza sirena in funzione obbligo di fermarsi immediatamente

I conducenti di veicoli in servizio di emergenza (polizia, ambulanza, vigili del fuoco), anche quando procedono previa attivazione del dispositivo acustico d'allarme (c.d. sirena), non sono comunque esonerati dal dovere di osservare la generale prudenza nell'approssimarsi ai crocevia. Allo stesso tempo, la violazione di tale generale obbligo di prudenza non esonera gli altri conducenti dall'obbligo di arrestare immediatamente la marcia, non appena siano in grado di percepire la suddetta segnalazione di emergenza.
Cass. Civ., Sez. III, 25/11/2014, n. 24990

giovedì 27 novembre 2014

Inosservanza dello stop ed obbligo accertamento dinamica incidente

In caso di sinistro tra veicoli, la semplice violazione del segnale di stop non implica, di per sé, l'automatico superamento della presunzione di pari responsabilità dei conducenti prevista dall'art. 2054, comma 2, c.c..
Infatti, la presunzione di pari responsabilità prevista dall'art. 2054 c.c. ha carattere sussidiario, dovendosi applicare soltanto nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro; l'accertamento della intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa peraltro il giudice dal verificare il comportamento dell'altro, onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente.
Cass. Civ., Sez. VI, 19/11/2014, n. 24676 

martedì 25 novembre 2014

Azienda Sanitaria Locale natura di ente pubblico economico inapplicabilità del termine dilatorio di 120 giorni.

Lo scorso 17 novembre il Tribunale di Roma, con sentenza n. 22878/14, ha rigettato l'opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. promossa da un'Azienda Ospedaliera che lamentava il mancato rispetto del termine di 120 giorni previsto a favore delle pubbliche amministrazioni, che deve intercorrere fra la notifica del titolo e la notifica del precetto, così come disposto dall'art. 14 del d.l. 669/96 convertito nella legge 30/97 e modificato dal successivo art. 44, 3° comma, lett. A, del d.l. 269/03.
Lo studio, costituitosi per gli opposti, insisteva per il rigetto dell'opposizione sul presupposto che la natura di ente pubblico economico delle aziende sanitarie ed ospedaliere sarebbe ostativa all'applicazione di detto termine a vantaggio delle medesime.
Nelle more del giudizio di opposizione intervenivano due importanti decisioni che, recependo, un orientamento già fatto proprio dalla giurisprudenza amministrativa, fissano dei principi capaci, sebbene dettati per altre fattispecie, di stravolgere gli attuali assetti anche sotto il profilo squisitamente civilistico.
Con l'illuminata ordinanza n. 49 del 03/06/2013, infatti, la Consulta ha chiarito che “mentre gli enti locali territoriali sono dotati, sia pure in forma meno spiccata rispetto allo Stato, di poteri autoritativi che esercitano attraverso gli strumenti del diritto amministrativo, le aziende sanitarie si caratterizzano, secondo il prevalente e consolidato orientamento interpretativo, per essere enti pubblici economici esercenti la loro attività utendo iure privato”. 
In altri termini le Aziende Sanitarie ed Ospedaliere devono considerarsi come aziende con personalità giuridica pubblica e come centri di imputazione di autonomia imprenditoriale. Esse, pertanto, agiscono e perseguono interessi tipici delle aziende private; investono, guadagnano, spendono (più o meno bene) e devono onorare i propri debiti proprio come tutte le altre aziende. 
Ciò, sempre secondo la giurisprudenza testé richiamata, è dovuto alla legge di riforma con cui la precedente unità sanitaria locale (USL) è divenuta azienda dotata di autonomia organizzativa, gestionale, tecnica, amministrativa, patrimoniale e contabile.
Anche la Cassazione (Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 11088 del 20/05/2014) si è posta recentemente sulla stessa linea di principio, asserendo che le sole Gestioni Liquidatorie delle ex ULSS non possono qualificarsi come ente pubblico economico laddove, invece, a seguito “dell'intervento novellatore del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3 ad opera del Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229, articolo 3, il quale, innovando il precedente assetto organizzatorio, ha stabilito (al comma 1-bis) che le unita' sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione ed il funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali". 
L’Azienda Sanitaria ed Ospedaliera, dunque, non può più ritenersi quale ente strumentale della regione, poiché simile qualificazione, contenuta nella originaria formulazione dell’art. 3, comma 1°, del D.Leg.vo n. 502/92, è stata espressamente eliminata dal successivo D.Leg.vo n. 571/93, norma che ha definito l’azienda sanitaria quale “azienda dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”.
La giurisprudenza amministrativa (TAR Catanzaro, Sez. II, sentenza n. 37 del 17/01/2001 n. 37 – confermata in appello dalla Va Sez. del Consiglio di Stato con decisione 9 maggio 2001 n. 2609 – e 5 aprile 2002 n. 809), del resto, era già arrivata con un certo anticipo a siffatte conclusioni, nel momento in cui affermava che “l’Azienda sanitaria, quindi, già dal 1993 ha perso il carattere di organo della Regione, acquisendo una propria soggettività giuridica con un autonomia che ha poi assunto, stante il disposto dell’art. 3, c. 1 bis del D.Lgs. 502/92 (comma introdotto dal D.Lgs. 19.6.99 n. 229), anche carattere imprenditoriale (“in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in Aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”), disposizione quest’ultima che ha introdotto una recente giurisprudenza a ritenere che le Aziende sanitarie abbiano assunto la natura di enti pubblici economici”.
Sulla scorta della richiamata giurisprudenza la Curia romana, sposando appieno il teorema difensivo da noi sviluppato, ha affermato che, "ferma la natura di ente pubblico economico delle Aziende Ospedaliere (v., sul punto, ex plurimis C. Cost. ord. n. 49/2013 e Cons. Stato, sez. III dec. n. 5241 del 30/10/2013), non può non rilevarsi come l'interpretazione letterale della norma in questione (che fa riferimento agli enti pubblici non economici) esclude l'applicabilità della suddetta normativa all'Azienda opponente".
Questa sentenza, se non addirittura la prima in assoluto, è sicuramente una delle prime a stabilire l'inapplicabilità del termine dilatorio di 120 giorni quando si agisce in danno delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere e rappresenta un importante inversione di rotta rispetto al passato.

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lunedì 24 novembre 2014

Servitù di veduta ed usucapione

Ai fini dell'acquisto per usucapione, ai sensi dell'art. 1061 c.c., di una servitù di veduta, le opere permanenti destinate al relativo esercizio devono essere visibili in maniera tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza della situazione di obiettivo asservimento della sua proprietà, per il vantaggio del fondo dominante. Il requisito di visibilità, pertanto, può far capo ad un punto di osservazione non necessariamente coincidente con il fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da un vicina via pubblica.
Cass. Civ., Sez. II, 17/11/2014, n. 24401

Investimento pedone presunzione colpa conducente condotta anomala pedone

La semplice violazione, da parte del pedone, dell'obbligo di concedere la precedenza ai veicoli in transito quando attraversi la strada al di fuori dei passaggi pedonali, non basta di per sé ad escludere in toto la colpa del conducente.
Nel caso di investimento di un pedone da parte di un veicolo senza guida di rotaie, l'art. 2054, comma 1, c.c., pone a carico del conducente di quest'ultimo una presunzione juris tantum di colpa. Per vincere tale presunzione, il conducente ha l'onere di provare che il pedone abbia tenuto una condotta anomala, violando le regole del codice della strada e parandosi imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore. 
Cass. Civ., Sez. III, 18/11/ 2014, n. 24472

giovedì 20 novembre 2014

Prelazione agraria e società di capitali

La prelazione agraria a favore del coltivatore del fondo agricolo posto in vendita trova la sua fonte nella legge 26/05/1965 n. 590; alcuni anni dopo, con l'art. 7 della legge n. 817/1971 la prelazione fu estesa anche al proprietario del fondo confinante. La diversa ragione giustificatrice fra le due forme di prelazione fu evidente sin da subito: nel primo caso, con la prelazione del coltivatore del fondo, si intende privilegiare l'impresa agraria sulla proprietà; nella seconda ipotesi, con la prelazione del confinante, la ratio legis risiede nel favorire l'estensione della grandezza del fondo, nel senso di un ampliamento fondiario. Il successivo art. 16, 5° comma, della legge n. 817/71 ha poi allargato la prelazione, per entrambe le ipotesi, pure alle cooperative agricole di coltivatori diretti. 
La prelazione agraria, ai fini della sua applicabilità, richiede la presenza di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi, il cui accertamento sovente presenta non poche difficoltà. Innanzitutto, è fondamentale l'individuazione dei soggetti che possono beneficiare dell'istituto in esame; l'art. 8, comma 1°, della legge n. 590/65 riconosce il diritto di prelazione unicamente a favore di determinati coltivatori diretti del fondo offerto in vendita, a condizione che lo stesso coltivatore, in aggiunta ad altri fondi eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi, non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa del titolare del rapporto agrario. Il successivo comma 1° dell'art. 31 della legge richiamata stabilisce che devono considerarsi coltivatori diretti ai fini della legge medesima coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed al governo del bestiame, sempreché la forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per le normali necessità della coltivazione ed il governo del bestiame.
Il quadro descritto, nella sostanza, non è mutato neanche a seguito dei due provvedimenti legislativi introdotti nel nostro ordinamento dietro impulso della normativa comunitaria: il D. Leg.vo 18/05/2001 n. 228 ed il D. Leg.vo 29/03/2004  n. 99. L'art. 7 del D. Leg.vo n. 228/2001 prevede un criterio di priorità allorquando i coltivatori che, avendone il diritto, intendano esercitare la prelazione siano più di uno; la norma in questione, infatti, ha disposto la prevalenza nell'esercizio del diritto di prelazione in primis ai giovani proprietari coltivatori, anche laddove intervengano in qualità di soci di cooperativa, secondo poi ai proprietari coltivatori più numerosi e, infine, ai proprietari più attrezzati sotto l'aspetto della professionalità. Altra lieve modifica è stata introdotta dal D. Leg.vo n. 99/2004, che da un lato ha riconosciuto qualsiasi veste sociale alle società agricole, seppur a determinate condizioni, ma dall'altro ha riservato il diritto di prelazione esclusivamente alle società agricole di persone che abbiano tra i loro soci un numero consistente di coltivatori diretti. 
Un'altra delle condizione affinché il coltivatore insediato sul fondo possa esercitare il diritto di prelazione è quella che egli coltivi il fondo stesso da almeno un biennio, così come previsto dall'art. 8 della legge n. 590/65, modificato dall'art. 7 della legge n. 817/71. Scopo della norma in esame è quello di garantire un determinato periodo di permanenza sul fondo proprio per giustificare la preferenza concessa dal legislatore. Altro requisito richiesto per l'esercizio della prelazione è l'assenza di alienazioni compiute nei due anni precedenti dal coltivatore. La finalità di simile requisito, previsto sempre dall'art. 8 della legge 590/65, risiede nell'evitare condotte del coltivatore ispirate a fini speculativi piuttosto che alla coltivazione del fondo. Occorre evidenziare, in proposito, il carattere eccezionale dell'istituto in questione, la cui capacità di comprimere l'altrui diritto di proprietà deve essere bilanciato dall'interesse primario di permettere la continuazione dell'attività agricola sul fondo alienando, il che richiede sia l'attualità della coltivazione sia la continuità della medesima in un tempo successivo.
Per quanto concerne la prelazione agraria del confinante, i requisiti richiesti per potersene avvalere sono quelli sin qui descritti, ad essi deve poi aggiungersi quello dell'individuazione esatta di cosa si intende per terreno confinante con quello posto in vendita. Dopo un contrastato iter giurisprudenziale si è giunti a ritenere che il diritto di prelazione, integrando anche in questo caso una limitazione della circolazione della proprietà agricola e della autonomia negoziale, spetti unicamente nel caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, ossia per terreni adiacenti e contigui, con contatto reciproco, a nulla rilevando la cosiddetta contiguità funzionale, che si riscontra in caso di terreni separati ma destinati ad essere accorpati in un'unica azienda agraria. Ne deriva che il diritto in esame difetti ogniqualvolta tra i fondi non vi sia contiguità fisica, a causa dell'esistenza di uno spazio interruttivo naturale o artificiale, come ad esempio una strada comunale o interpoderale, un canale pubblico od un corso d'acqua (Cass. 17/07/2002 n. 10377 e 26/11/2007 n. 24622).
Per quanto sin qui detto, si può dunque affermare che in tema di diritto di prelazione e riscatto, per il disposto dell'art. 7 della legge n. 817/71, al proprietario di un fondo agricolo confinante con altro offerto in vendita compete il diritto di prelazione, ovvero il succedaneo diritto di retratto, se ricorrono nei suoi confronti tutte le condizioni dall'art. 8 della legge n. 590/65, a cui il citato articolo 7 espressamente rinvia e, quindi, la qualifica di coltivatore diretto, la coltivazione biennale dei terreni agricoli confinanti di sua proprietà, il possesso della forza lavorativa adeguata ed il non aver effettuato alienazioni di fondi rustici nel biennio precedente. In buona sostanza, il vigente sistema positivo non garantisce il diritto di prelazione nell'acquisto di fondi rustici a tutti i coltivatori diretti in generale, ma unicamente a coloro che, in tale veste, si trovino in un particolare rapporto con il fondo in vendita. In particolare, il proprietario del fondo confinante con quello in procinto di essere ceduto, risulta titolare del diritto di prelazione ovvero di riscatto, in quanto possieda la qualità di coltivatore diretto e nel contempo coltivi direttamente i terreni confinanti con quello in vendita. In aggiunta a ciò, il menzionato art. 7 della legge n. 817/71 esclude il diritto di prelazione del proprietario del fondo confinante se sui fondi offerti in vendita siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti (Cass. Civ., Sez. III, 27/01/2011 n. 2019). L'eventuale perdita di proprietà del fondo da parte del confinante intervenuta dopo che questi abbia esercitato il diritto di prelazione o riscatto, non incide sull'acquisto già operato (Cass. 28/06/1994 n. 6192).     
Appurati i casi in cui opera la prelazione agraria, passiamo a verificare se, sotto il profilo soggettivo, possano beneficiarne anche le società di capitali, in aggiunta ai soggetti sin qui indicati.
Sin dall'entrata in vigore della legge nel 1965 ed almeno sino alle novità introdotte dietro impulso della Comunità Europea, la dottrina dominante, prendendo spunto anche da decisioni oggi remote con le quali si riconobbe l'operatività della prelazione a favore del confinante quando sul fondo posto in vendita fosse insediato un affittuario “capitalista”, espressione con cui si voleva indicare chi non era coltivatore diretto ossia colui che conduce l'impresa agricola con prevalenza di capitale e manodopera salariata, non ha mancato di rilevare che la normativa sulla prelazione agraria trovava la sua fonte specifica nel nostro ordinamento, sul presupposto che la figura del coltivatore diretto costituisse la "tipica figura del diritto italiano". In buona sostanza, si tentava di mantenere distinto in modo incisivo l'imprenditore agricolo dall'imprenditore commerciale, per la diversa e più favorevole disciplina che caratterizza il primo rispetto al secondo, per cui si tendeva a circoscrivere in ambiti ristretti il concetto di imprenditore agricolo.
La Comunita Europea ha tuttavia ampliato questi concetti e, sostanzialmente, ha indotto il nostro legislatore a far propria la figura dell'imprenditore agricolo professionale, appunto con il D. Leg.vo n. 99/04. Quest'ultimo ha infatti offerto una qualificazione dell'imprenditore agricolo professionale sulla base di un duplice requisito: a) quantità di lavoro dedicato alle attività agricole (almeno il 50 per cento del proprio tempo lavorativo); b) quantità di reddito globale da lavoro ricavato dall'agricoltura (almeno il 50 per cento). Presupposto di tutto rimane comunque il fatto che egli dedichi la sua attività lavorativa in agricoltura direttamente o in qualità di socio di società. 
La qualifica di imprenditore agricolo professionale viene, inoltre, riconosciuta anche alle società (di persone, cooperative, di capitali) a determinate condizioni: a) l'oggetto sociale esclusivo deve concernere attività agricola ai sensi dell'art. 2135 c.c.(e quindi la società va qualificata come società agricola); b) se società di persone, almeno un socio (in particolare l'accomandatario) deve rivestire la qualifica di imprendere agricolo professionale; c) se società cooperative, almeno un quinto dei soci deve rivestire detta qualifica; d) se società di capitali, almeno un amministratore deve rivestire detta qualifica.
Considerato come il D. Leg.vo n. 288/01 non sembra avere inteso ampliare la cerchia dei beneficiari del diritto di prelazione rispetto alla precedente disciplina, si tratta ora di verificare se detta cerchia sia stata ampliata per effetto dell'art. 2, 3° comma, del D. Leg.vo n. 99/04, il quale dispone che la prelazione agraria sia del soggetto insediato sul fondo sia del confinante "spetta anche alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 e seguenti del codice civile". 
La norma è certamente innovativa, perché in precedenza il diritto di prelazione era previsto, oltre che a favore del coltivatore diretto, solo a favore della cooperativa agricola, per effetto della modifica intervenuta nel 1971, modifiche che, tuttavia, costituirono oggetto di disputa in seno alla Cassazione civile, la quale, nel silenzio della norma, da un lato ne affermava l'applicabilità prescindendo dalla qualità di coltivatore diretto dei soci; da un altro lato riteneva indispensabile, per l'operatività della prelazione, l'applicabilità anche per le cooperative agricole dell'art. 8, 1° comma, della legge n. 590/65 in tema di condizioni soggettive del coltivatore diretto.
Il D. Leg.vo n. 99/04 porta ancora più in avanti questa tendenza ampliativa dei soggetti beneficiari della prelazione agraria. Il provvedimento, dopo avere qualificato le società agricole come imprenditori agricoli professionali, ne ha individuato alcuni requisiti basilari come innanzi elencati. E qui si inserisce la norma sulla prelazione, che viene estesa anche alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Questa norma chiarisce in modo netto, senza pretendere un'interpretazione giurisprudenziale chiarificatrice alla stessa stregua dell'interpretazione che ha richiesto la precedente norma sulle cooperative agricole, lo stretto collegamento che deve sussistere tra la coltivazione diretta del fondo e la prelazione agraria.
A questo punto, si impone una duplice riflessione:
a) il D. Leg.vo n. 99/04 prevede fra le società agricole tutti i tipi di società, a determinate condizioni, ma riserva il diritto di prelazione soltanto alle società agricole di persone. Ciò è ulteriore prova del fatto che ampliando la sfera degli imprenditori agricoli non viene automaticamente ampliata la sfera dei soggetti beneficiari del diritto di prelazione;
b) non tutte le società agricole di persone godono del diritto di prelazione, ma soltanto le società che abbiano tra i soci un buon numero di coltivatori diretti. 
Ne deriva che nessuna influenza sembra possa attribuirsi all'ampliamento del concetto di imprenditore agricolo recato sulla spinta della normativa europea. Basti riflettere che in ossequio al diritto europeo è stata prevista ad un tempo la capacità di reddito e del tempo lavorativo nella misura del 50 per cento, mentre per il coltivatore diretto beneficiario della prelazione agraria non è prevista per nulla la capacità di reddito e la capacità della complessiva forza lavorativa invece prevista viene limitata al 30 per cento (non al 50 per cento) di quella occorrente per la necessità del fondo. Ma soprattutto va precisato che l'ampliamento del concetto di imprenditore agricolo tiene conto anche di un possibile disancoramento di esso da un fondo agricolo, il che rende impossibile un riferimento automatico dell'imprenditore agricolo disegnato dalle nuove norme su impulso comunitario al coltivatore diretto indicato dalle norme speciali sulla prelazione agraria. Inoltre non va sottovalutata la considerazione che l'istituto della prelazione agraria è stato ritenuto, come detto, istituto di natura eccezionale, in quanto limitativo del diritto di proprietà in una delle sue fondamentali manifestazioni: la libera disponibilità del bene da parte del proprietario. Il che comporta che esso non possa essere esteso per analogia a soggetti che la legge non abbia espressamente previsto come beneficiari del diritto ed unici legittimati ad esercitarlo. 
In conclusione, proprio tenuto conto della tassatività dell’elencazione dei soggetti riconosciuti dalla normativa vigente titolari del diritto di prelazione agraria, si può affermare che una società di capitali non può in alcun modo esercitare il diritto di prelazione agraria.

lunedì 17 novembre 2014

Certificato successorio europeo

La L. 30 ottobre 2014, n. 161, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2014, n. 261 ha, tra le altre cose, introdotto nel nostro ordinamento il Certificato successorio europeo(CSE) il cui rilascio è posto a carico dei notai.
Pertanto, a partire dal 17 agosto 2015, i notai, potranno rilasciare il nuovo Certificato successorio europeo (CSE) tramite il quale eredi, legatari, esecutori testamentari o amministratori dell'eredità potranno fare valere all'estero, senza necessità di compiere in loco ulteriori atti formali, la loro qualità e i connessi diritti, poteri e facoltà.

Allontanamento malato psichiatrico responsabilità della casa di cura.

La casa di cura è responsabile, in virtù della culpa in vigilando che incombe sul personale,  per l'allontanamento dalle proprie strutture di un paziente malato di mente con intenzioni suicide ovvero autolesive.
La Cassazione, nel caso in esame, ha incentrato la decisione  sulla peculiare responsabilità "da custodia" dei pazienti affetti da patologie psichiatriche che si rendano autori di gesti incontrollati, con conseguente produzione di danni a sé o a terzi.
In primo luogo, la S.C. ha ribadito che, con riguardo all'obbligazione istituzionale primaria dell'ente ospedaliero od assimilato di cura delle persone ricoverate, la tutela de "la salute come fondamentale diritto dell'individuo" (art. 32, comma 1, Cost.) non si esaurisce nella mera prestazione delle cure mediche, chirurgiche, generali e specialistiche, ma include la protezione delle persone di menomata o mancante autotutela che siano destinatarie dell'assistenza sanitaria, per le quali detta protezione costituisce la parte essenziale e, talora, massima della cura (come nel caso di controllo di malati psichiatrici). Sulla scorta di tale presupposto generale, è stato, poi, precisato che nei confronti di persona ospite di reparto psichiatrico, non interdetta né sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della L. 13 maggio 1978, n. 180, la configurabilità di un dovere di sorveglianza a carico del personale sanitario addetto al reparto e della conseguente responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2047, comma 1, c.c. per i danni cagionati dal ricoverato presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere del medesimo. A tal proposito si è, perciò, ulteriormente specificato che la responsabilità civile del soggetto tenuto alla sorveglianza di una persona incapace, la quale abbia cagionato danni a terzi, deriva dall'art. 2047 c.c., che dà luogo ad una responsabilità diretta e propria di coloro che sono tenuti alla sorveglianza, per inosservanza dell'obbligo di custodia, ponendo a carico di essi una presunzione di responsabilità, che può essere vinta solo dalla prova di non aver potuto impedire il fatto malgrado il diligente esercizio della sorveglianza impiegata.
Cass. Civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22331

giovedì 13 novembre 2014

Contratti di vendita negoziati fuori dai locali commerciali

In materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, l’art. 1, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 va interpretato in coerenza con le finalità della direttiva comunitaria di cui è attuazione (ossia di evitare negoziazioni che possano cogliere di sorpresa il consumatore), sicché non rientrano fra i contratti e le note d’ordine sottoscritti in “area pubblica o aperta al pubblico” quelli sottoscritti in “stand” allestiti all’interno di fiere o saloni di esposizione.
Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza n. 22863 del 28/10/2014

Liberalizzazioni, possibilità per alimentari di vendere giornali e riviste.

La Seconda Sezione. II del T.A.R. Bolognese ha stabilito che trova applicazione, in relazione all'apertura di nuovi punti vendita esclusivi e non di giornali e riviste, la normativa di cui al cd. "decreto Bersani" che aveva previsto la liberalizzazione delle autorizzazioni e che pertanto debba considerarsi illegittima qualsivoglia misura limitante delle nuove aperture fondata su restrizioni quantitative o territoriali, atteso che l'art. 3, comma 1, lett. d) del citato decreto ha disposto l'abrogazione con effetto immediato delle precedenti disposizioni in cui erano previsti limiti alle autorizzazioni aventi a oggetto quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale.
T.A.R. Emilia Romagna, Sez. II, 26/09/2014, n. 914

Incompatibilità impresa familiare con ogni forma societaria

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno da poco composto il contrasto giurisprudenziale insorto circa la compatibilità o meno dell'impresa familiare con la disciplina societaria di qualunque tipo.
In sintesi, ciò che davvero si palesa irriducibile ad una qualsiasi tipologia societaria, secondo le Sezioni Unite, è la disciplina patrimoniale concernente la partecipazione familiare agli utili ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, anche al di fuori dell'impresa: e non, quindi, in proporzione alla quota di partecipazione, come, invece, avviene nelle compagini sociali.
Cass. Civ., Sez. Unite, 06/11/2014, n. 23676 

martedì 11 novembre 2014

Assicurazione contro il furto e clausole limitative

Con la sentenza in esame la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui, nel contratto di assicurazione, sono da considerare clausole limitative della responsabilità, ai sensi dell'art. 1341 c.c. (con necessaria e specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all'oggetto del contratto quelle altre clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito. Queste tipo di clausole non richiedono, dunque, l'approvazione preventiva per iscritto ai sensi e per gli effetti dell'art. 1341 c.c.; fra esse possiamo annoverare, a titolo di esempio, quella che prevedeva l'installazione di un certo tipo di impianto di antifurto. 
Sulla scorta di simile premessa, la decisione ha ribadito il principio secondo il quale le clausole di un contratto di assicurazione contro il furto, che prevedono la subordinazione dell'operatività della garanzia assicurativa all'adozione di speciali dispositivi di sicurezza o al rispetto di oneri diversi, non realizzano una limitazione della responsabilità dell'assicuratore ma hanno la funzione di delimitare l'oggetto del contratto ed il rischio dell'assicuratore stesso, con la conseguenza, peraltro, sul piano probatorio, che l'adozione di tali misure configura come elemento costitutivo del diritto all'indennizzo, donde costituisce onere dell'assicurato fornire la relativa prova.
Cass. Civ., Sez. III, 28 ottobre 2014, n. 22806

venerdì 31 ottobre 2014

Responsabilità P.A. caduta su marciapiede

La presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato.
Nella fattispecie la Corte di cassazione ha affermato che sussiste la responsabilità dell'Ente pubblico nel caso di caduta di un pedone, dovuta ad un avvallamento presente sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, lasciato aperto al calpestio del pubblico e privo di ogni segnalazione delle condizioni di pericolo.
Cass. Civ., Sez. VI, 23 ottobre 2014, n. 22528

mercoledì 29 ottobre 2014

Caduta albero responsabilità ente proprietario strada pubblica

L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito è tenuto ad individuare, prevenire o attenuare i rischi derivanti dalla proprietà privata: in primo luogo, segnalando ai proprietari interessati la situazione di pericolo; in secondo luogo, invitando i medesimi ad eliminarla; in terzo luogo, inibendo la circolazione.
Ne consegue che detto ente, pur non rivestendo la qualità di custode dei fondi privati che fiancheggiano la strada, né avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia l'obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada medesima e, in caso affermativo, attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. 
In virtù di ciò, ove la situazione di pericolo si trasformi in pregiudizio per un utente della strada, si configura la colpa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2043 c.c., dell'ente proprietario della strada pubblica perché questo, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza di una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questa, né adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione. 
Cass. Civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22330

martedì 28 ottobre 2014

Parcella avvocato

L'avvocato ha diritto ad ottenere il pagamento della parcella anche quando l'attività consista solo nella consulenza preliminare a cui non segue il conferimento di un incarico formale.
Infatti, non è la firma della procura processuale a far perfezionare il rapporto professionale fra avvocato e cliente, atteso che l'incarico può esser conferito anche oralmente ovvero tramite comportamenti concludenti, tipo la consegna di documentazione o la richiesta di un preventivo parere di fattibilità.
Dunque, ogniqualvolta il professionista impiega il proprio tempo, le proprie risorse e competenze a favore di un cliente, va in ogni caso compensato secondo il tariffario forense.
Cass. Civ. Sez VI, ordinanza n. 22737 del 27/10/2014

lunedì 20 ottobre 2014

Pubblico dipendente cessione del badge

La cessione del badge ad altro soggetto affinché attesti falsamente la presenza in ufficio, integra gli estremi del reato di truffa aggravata.
Lo afferma la Cassazione confermando il consolidato orientamento secondo il quale in tale ipotesi non si è in presenza di falso in atto pubblico ma di truffa aggravata.
Cass., Sez. III Pen., 08/10/2014, n. 41935

giovedì 16 ottobre 2014

Agevolazioni prima casa e comunione ordinaria

A differenza della comunione legale fra coniugi, la comunione ordinaria non osta alla fruizione delle agevolazioni per la prima casa. La comunione legale tra i coniugi ex art. 177 c.p.c., pertanto, impedisce il godimento dell'agevolazione in questione mentre la titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude detto beneficio.
 Cass. Civ., Sez. VI, Ord., 8 ottobre 2014, n. 21289

mercoledì 15 ottobre 2014

Compensazione delle cartelle esattoriali.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con decreto pubblicato sulla GU del 10/10/2014, ha autorizzato la compensazione delle cartelle esattoriali notificate anteriormente al 31 marzo 2014 in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali maturati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
La somma iscritta a ruolo deve essere di importo inferiore o pari al credito vantato, e i crediti da portare in compensazione devono essere certificati secondo quanto prescritto nei precedenti Decreti del MEF datati 22 maggio e 25 giugno 2012 e successive modificazioni.

lunedì 6 ottobre 2014

Fisco, prelievi bancari professionisti

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 228/2014, ha affermato che i prelievi dal conto corrente bancario effettuati da professionisti e lavoratori autonomi senza giustificazione non possono essere considerati automaticamente come compensi in nero. La questione era stata sollevata dalla Commissioine Tributaria Regionale del Lazio che aveva evidenziato l'irrazionalità della presunzione posta a favore del fisco, la quale trasformava i prelievi bancari senza giustificazione in compensi non dichiarati. 

Acquisto immobile, usi civici, responsabilità notaio

Per usi civici si intendono i diritti costituiti sulla proprietà altrui, pubblica o privata, e spettanti ad una collettività di persone", essi sono inalienabili ed imprescrittibili.
E' principio ormai pacifico che rientri tra gli obblighi del notaio, che sia incaricato della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed in particolare il compimento delle cosiddette visure catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale volontà per concorde volontà delle parti.
In relazione a tale obbligo, il notaio non può invocare la limitazione della responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 cod.civ. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad una ipotesi di imperizia, cui si applica quella limitazione, bensì a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, cod. civ., rispetto alla quale rileva. 
Inoltre, il notaio che ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull'immobile, può essere condannato al risarcimento del danno in favore del venditore in forma specifica, mediante la cancellazione del vincolo, con il pagamento della somma necessaria a tal fine per il compimento delle richieste formalità, a prescindere dal consenso del terzo creditore ipotecario" (Cass. Civ., sez. III , sent. 19 giugno 2013, n.15305 ).
Nel caso, poi, in il notaio rogante non adempia l'obbligazione di verificare l'esistenza di iscrizioni ipotecarie relative all'immobile compravenduto, dichiarando come libero un bene che risulta, invece, gravato da ipoteca e sottoposto a procedura esecutiva, il risarcimento del danno conseguente può essere disposto anche in forma specifica, mediante condanna del notaio alla cancellazione della formalità non rilevata, a condizione, tuttavia, che vi sia la possibilità di ottenere, a tal fine, il consenso del creditore procedente e che il relativo incombente non sia eccessivamente gravoso, sia per la natura dell'attività occorrente, che per la congruità, rispetto al danno, della somma da pagare. È onere del giudice di merito, il quale intenda condannare il notaio al risarcimento in forma specifica, motivare il proprio provvedimento, dando conto della sussistenza di tali presupposti" (Cass. Civ., sez. III , sent. 16 gennaio 2013, n.903).
Il notaio, però, non risponde quando l'errore sia stato causato da una condotta negligente del conservatore dei registri immobiliari, che abbia reso di fatto impossibile l'individuazione dell'iscrizione ipotecaria con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale (Cass. Civ., s ez. III, sent. 28 settembre 2012, n. 16549).
Il notaio, infine, è tenuto a verificare l'eventuale esistenza di usi civici sull'immobile compravenduto, poiché essi comportano la nullità di qualsiasi ipotesi di trasferimento che veda coinvolti soggetti privati, e ciò indipendentemente dalla circostanza che la stessa risulti riconosciuta in pronunce emesse da organi giudiziari ordinari. 
Come ripetutamente affermato in giurisprudenza, i beni aggravati da usi civici debbono essere, infatti, assimilati ai beni demaniali.
La particolarità del regime a cui sono sottoposti i beni in esame determina che, al di fuori dei procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, la preminenza del pubblico interesse che ha impresso al bene immobile il vincolo dell'uso civico ne vieta ogni circolazione (cfr., in tal senso, Cass. Civ., Sez. III, 28 settembre 2011, n. 19792; T.R.G.A., 17 ottobre 2005, n. 284) e, pertanto, ogni atto di cessione tra privati di un tale bene - pur se riconosciuto come intervenuto - è affetto da nullità (Cass.Civ., Sez. III, 3 febbraio 2004, n. 1940). 
In altre parole, in materia di terreni soggetti ad uso civico non possono costituirsi proprietà private senza un titolo proveniente dall'autorità che ha il potere di disporne (principio questo a cui si riconnette, tra l'altro, anche l'irrilevanza di stati di prolungato possesso - Trib. Cassino, 7 aprile 2010; App. Roma, Sez. IV, 8 novembre 2006)" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I Ter, sent. 7 febbraio 2013, n. 1369).
Tribunale di Napoli, 16/07/2014 n. 11276.

Responsabilità medica, consenso informato, onere probatorio

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contratto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio, il danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore (medico e/o struttura sanitaria) dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non sia eziologicamente rilevante.
La violazione, poi, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni:
- un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
- nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale. Entrambi i principi, più volte affermati dalla Corte regolatrice, sono stati ribaditi in una recente decisione.
Cass. Civ., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 20547

venerdì 3 ottobre 2014

I cinguettii di Twitter nelle aule dei tribunali stranieri

In Francia un noto uomo politico ha citato Twitter di fronte al Tribunal de Grande Instance de Paris affinché rivelasse i dati e le password di un account fake che, usurpando la sua identità, annunciava falsamente il suo ritiro dalla vita politica. La falsa notizia venne ripresa dalla stampa. Twitter si è difesa affermando che secondo le disposizioni contrattuali del servizio i dati personali dei sottoscrittori degli account vengono cancellati dopo 30 giorni dalla chiusura del medesimo. Nel caso di specie detto periodo è spirato prima che il ricorrente depositasse la sua istanza, pertanto Twitter chiede il rigetto dell'istanza attorea. Il Tribunale parigino accoglie la domanda attrice e, insieme, condanna Twitter al risarcimento del danno per 4000 euro poiché la richiesta informale del ricorrente era stata reiteratamente presentata antecedentemente al termine di cancellazione dei dati.
Anche negli Stati Uniti, presso la Supreme Court of New York, Kings County, è stato affrontato il caso di un account fake di Twitter. In questa specifica fattispecie il fake ha usurpato l'identità di un soggetto e pubblicato sul profilo twitter di questi la foto di abusi su minori mostrati durante un processo per violenze su bambini in corso presso una corte newyorkese, nonostante la proibizione del giudice di scattare immagini durante le udienze. Con questa sentenza il giudice newyorkese, oltre a scagionare completamente l'attore-vittima del falso account, ordina a Twitter di svelare i dati personali del gestorre dell'accontfake.
Il caso affrontato dalla High Court of New Zealandriguarda la campagna "ClimateVoter" organizzata da Greenpeace nel giugno 2014 in vista delle elezioni del 20 settembre 2014. La campagna consisteva nel lancio di un sito web (www.climatevoter.org.nz) e con collegati profili Facebook e Twitter (nello specifico, @ClimateVoterNZ). Secondo la Electoral Commission neozelandese, siffatta campagna aveva ad oggetto argomenti politici, nonché costituiva propaganda elettorale e pertanto doveva obbedire alle disposizioni dell'Electoral Act 1993. Tuttavia la Corte ha accolto le regioni di Greenpeace affermando che le campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica in materia ambientale non costituiscono propoganda elettorale e sono protette della libertà di manifestazione del pensiero.
In Sudafrica, la North Gauteng High Court ha affrontato un caso relativo alla diffusione via blog e Twitter di allegazioni e insinuazioni negative sulle capacità professionali del ricorrente, un soggetto piuttosto noto a livello locale, secondo le quali il ricorrente era coinvolto in frodi ovvero condotte illegittime. Prima che la causa giungesse in decisione, il convenuto ha pubblicato una rettifica sui contenuti diffamatori precedentemente diffusi insieme alle scuse, pertanto il convenuto instava per lo stralcio del contenzioso, rimanendo tuttavia in sospeso la questione delle spese legali. Il giudice ha preso atto delle scuse e delle rettifiche, tuttavia ha posto a carico del convenuto l'intero costo delle spese legali sostenute dall'attore.
Presso la Court of Final Appeal di Hong Kongè giunta in decisione una causa relativa alla diffusione online di un messaggio ritenuto istigatore alla violenza politica. Oltre al rigetto dell'appello del condannato autore del suddetto messaggio, questa decisione è interessante per la critica alla carenza di stringenti norme sul controllo della decenza, offensività e opportunità dei contenuti pubblicati, facendo specifico riferimento a due norme legislative che, seppur rivolte a regolare i mezzi di comunicazione, non contengono alcun riferimento a Internet, lasciando la Rete senza appropriata regolamentazione. Nelle note a piè pagina, si fa riferimento a Twitter proprio come caso esemplare nella divulgazione incontrollata di contenuti.

Legittimo l'accertamento fondato sul consumo unitario dei tovaglioli utilizzati al ristorante

In tema di accertamento presuntivo del reddito di impresa, a norma dell'art. 39 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l'accertamento che ricostruisca i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati.
L'accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l'Ufficio finanziario procede alla rettifica di componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e della fedeltà della contabilità esaminata, sicché essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile.
Il principio, già enunciato dal giudice di legittimità, è stato espressamente riaffermato in una recente pronuncia. Nel caso di specie, rigettando il ricorso dei contribuenti, la Suprema Corte ha ritenuto non censurabile la sentenza impugnata con la quale il giudice tributario aveva ritenuto corretto l'accertamento induttivo effettuato dall'ufficio finanziario a carico di una società di persone esercente l'attività di ristorazione e relativo a ben quindici avvisi di accertamento emessi ai fini delle imposte dirette ed indirette volti al recupero a tassazione di maggiori redditi di impresa e di partecipazione non dichiarati e fondati sul numero dei pasti -desumibile dal consumo dei tovaglioli di carta, ridotto di una percentuale di errore (cd. sfrido), e di stoffa adoperati- maggiore di quelli risultanti dalle fatture e ricevute fiscali emesse negli anni oggetto di contestazione.
In tema di accertamento presuntivo del reddito d'impresa ai sensi del citato art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, osserva ancora la Corte, in conformità ad un indirizzo costante, è legittimo l'accertamento che ricostruisca i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati -risultante, per quelli di carta, dalle fatture o ricevute di acquisto e per quelli di stoffa, dalle ricevute della lavanderia- costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto idoneo, anche di per sé solo, a lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati. Tuttavia, conclude la Cassazione, è evidente che si deve, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale una certa percentuale di tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l'uso da parte dei camerieri, le evenienze più varie per le quali ciascun cliente può essere indotto ad utilizzare più tovaglioli (cd. sfrido).
Cass. Civ., Sez. V, 24 settembre 2014, n. 20060

Telecamere sulla divisa per la Polizia: da usare solo in caso di effettiva necessità

Il 30/09/2014 il Garante della Privacy ha stabilito che gli agenti di Polizia potranno indossare telecamere di ridotte dimensioni, che potranno essere attivate durante pubbliche manifestazioni ma esclusivamente nelle situazioni critiche.
Il Garante della Privacy, con il parere con il quale ha dato l'assenso al nuovo sistema di ripresa avviato in sede sperimentale dal Dipartimento di pubblica sicurezza in quattro città (Torino, Milano, Roma e Napoli), ha stabilito che gli agenti di Polizia potranno indossare telecamere di ridotte dimensioni, che potranno essere attivate durante pubbliche manifestazioni ma esclusivamente nelle situazioni critiche.
Le telecamere, che saranno fornite di schede di memoria con numero seriale che fornirà i dati identificativi dell'agente, saranno applicate al gilet tattico e potranno essere attivate (e disattivate) solo su indicazione del funzionario che dirige il reparto di Polizia. Alla fine del servizio, la documentazione video sarà consegnata alla locale Polizia scientifica.
Secondo il Garante, tale sistema, pur finalizzato alla tutela dell'ordine pubblico, non dovrà ledere i principi in tema di trattamento dei dati personali alla base del Codice della Privacy. Pertanto, le immagini riprese non dovranno rispetto alla finalità per le quali sono state raccolte e il sistema potrà essere attivato solo nei casi di reale situazione di pericolo di turbamento della pubblica sicurezza.
Il Garante ha, quindi, ulteriormente specificato che i video potranno essere conservati solo per un periodo limitato di tempo e poi dovranno essere cancellate.

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giovedì 2 ottobre 2014

La molestia su Facebook è reato

Così ha stabilito la I Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 37596 del 12/09/2014, decisione in cui ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di molestie o disturbo alle persone, va considerato luogo aperto al pubblico la piattaforma sociale Facebook, quale luogo “virtuale” aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete e che, pertanto, integra la contravvenzione di cui all’art. 660 cod.pen. l’invio di messaggi molesti, “postati” sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa.

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Bimbo cade dallo scivolo in un parco in ora notturna: no risarcimento per il genitore imprudente

Un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino piccolo, in ora notturna in un parco giochi consentendogli di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
L'utilizzo di strutture esistenti in un parco giochi -a meno che non risulti provato che le stesse siano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto- non si connota di per sé, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti.
In particolare, un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino piccolo, in ora notturna -e perciò priva di luce solare- in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare. Tali principi sono stati espressi dal giudice di legittimità in una recente decisione.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice distrettuale aveva accolto la domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti di una amministrazione comunale dai genitori di un minore vittima di una caduta mentre si trovava sullo scivolo sito all'interno del parco comunale.
Nella fattispecie, rileva la Cassazione, non risulta da alcun elemento che lo scivolo fosse in cattivo stato di conservazione o comunque dotato di un qualche specifico elemento di pericolosità.
La sentenza impugnata non ricostruisce le modalità concrete della caduta, osservando solo che lo scivolo era «ubicato all'interno di un'aiuola in terra battuta, coperta da uno strato assai rarefatto di sabbia tufacea, con radi cespugli erbosi» e che ai piedi dell'attrezzo c'era una concavità, priva di qualsiasi accumulo di terriccio o di sabbia. Da tali elementi, prosegue la sentenza in esame, essa trae la conclusione che la durezza dell'impatto certamente poteva avere causato il danno lamentato dai genitori del bambino, tanto più che l'amministrazione comunale avrebbe dovuto prevedere il rischio approntando un adeguato quantitativo di sabbia ai piedi dello scivolo, non potendo pretendere «un elevato contributo di attenzione ed una perfetta perizia da un bambino».
In tal modo tuttavia, specifica la Suprema Corte, la sentenza impugnata è incorsa nella violazione dell'art. 2043 c.c., non avendo fatto corretta applicazione dei principi circa la prevedibilità dell'evento dannoso.
Infatti, la caduta di un bambino di tre anni e mezzo di età da uno scivolo in ora notturna è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado di normale diligenza.
Il fatto che ai piedi dello scivolo vi fosse una buca o -come si dice- una conca, un avvallamento che aumenta il rischio di cadute pericolose non fa che rendere ancora più prevedibile l'evento dannoso; sicché aumentano le probabilità che la cooperazione colposa del soggetto danneggiato -nel caso degli adulti tenuti alla vigilanza sul bambino- possa avere una efficacia causale del tutto assorbente ai sensi dell'art. 1227 c.c., assumendo la cosa il ruolo puro e semplice di occasione dell'evento.
In altri termini, conclude la pronuncia in epigrafe, un genitore o, comunque, un adulto che accompagna un bambino così piccolo, in ora notturna -e perciò priva di luce solare- in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c'è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte di responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
Cass. Civ., Sez. III, 26 maggio 2014, n. 11657

Sinistro causato da veicolo non identificato. Il danneggiato deve anche provare che l'identificazione dell'altro conducente era impossibile

Nell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, incombe sul danneggiato, che promuova richiesta di risarcimento dei danni nei confronti del Fondo di garanzia, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. a), L. 24 novembre 1969, n. 990, applicabile ratione temporis, l'onere di provare, oltre che il sinistro si è verificato per la condotta dolosa o colposa di altro veicolo o natante, anche che il conducente sia rimasto sconosciuto.
Il principio, già espresso dal giudice di legittimità, è stato recentemente ribadito.
Nel caso di specie, il danneggiato aveva convenuto in giudizio una compagnia assicurativa, quale impresa designata dal Fondo di garanzia vittime della strada, chiedendo i danni conseguenti ad un incidente stradale nel quale era stato coinvolto ad opera di un motociclo rimasto non identificato, mentre percorreva una strada urbana con la bicicletta. In entrambi i gradi di giudizio la domanda era stata rigettata.
Al fine di rispettare la ratio della norma -che è quella di risarcire il danneggiato, ma anche di evitare possibili frodi al Fondo- precisa la Corte regolatrice, si è richiesta la prova, non solo che il sinistro vi sia effettivamente stato ad opera di veicolo sconosciuto, ma anche che la non identificazione dello stesso sia dipesa da impossibilità incolpevole del danneggiato. In tale contesto, precisa la pronuncia, è da escludere ogni automatismo derivante dalla presenza-assenza della denuncia/querela e nel non imporre al danneggiato l'onere di ulteriori indagini articolate o complesse, non essendo richiesto alla vittima di mantenere un comportamento di non comune diligenza, avuto riguardo alle sue condizioni psicofisiche ed alle circostanze del caso concreto.
Quindi, conclude la Cassazione, rilievo è attribuito al principio del libero convincimento del giudice, per cui questi deve valutare globalmente le risultanze processuali, secondo il suo prudente apprezzamento, dando conto degli elementi sui quali abbia inteso fondarlo.
Cass. Civ., Sez. III, 29 maggio 2014, n. 12060

mercoledì 1 ottobre 2014

La diffamazione tramite internet è diffamazione aggravata

La diffamazione commessa tramite internet integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p. in quanto commessa con "altro mezzo di pubblicità" rispetto alla stampa.
Se è vero che la diffamazione tramite internet è riconducibile all'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi del comma 3 dell'art. 595 c.p., commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità -apparendo, anzi, per la sua peculiarità quasi un tertium genus tra la stampa e, per l'appunto, gli altri mezzi di pubblicità- è pur vero che internet costituisce un mezzo di diffusione di notizie ed idee (al pari, se non di più, di stampa, radio e televisione), di modo che il diritto di esprimere le proprie opinioni, riconosciuto a "tutti" dall'art. 21 Cost., da cui discendono i diritti di informazione e critica, può e deve essere esercitato -quale che ne sia, tra quelli indicati, il mezzo di diffusione- nell'ottica del necessario bilanciamento con l'altro diritto primario all'onore ed alla reputazione e, quindi, nei limiti tradizionalmente tracciati dalla giurisprudenza con specifico riguardo alla critica, della verità obiettiva (per quanto con ciò sia accertabile), della continenza e della pertinenza.
Inoltre, il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione del diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento, fermo restando che la prova di tale danno può essere data con il ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo, a tal fine, come idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della persona colpita, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale.
Tali principi, già espressi dal giudice di legittimità, sono stati nuovamente affermati in una recente pronuncia. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte territoriale aveva confermato la decisione di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali pronunciata in primo grado a carico di persone fisiche e giuridiche ritenute responsabili di fatti di carattere diffamatorio commessi mediante pubblicazione su alcuni siti internet di informazioni, in forma di comunicati stampa, lesive e false dell'onore e della reputazione di un dirigente di un ente pubblico.
Cass. Civ., Sez. III, 25 agosto 2014, n. 18174

martedì 30 settembre 2014

Intervento chirurgico: consenso informato obbligatorio anche se il rischio di morte è nullo

La c.d. informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico è dovuta anche in presenza di una percentuale statistica di mortalità pari all'uno per cento, in quanto la valutazione del rischio appartiene al titolare del diritto esposto, e cioè al paziente, costituendo una operazione di bilanciamento che non può essere annullata in favore della parte che interviene sia pure con intenti salvifici.
Il fondamento del consenso informato viene ad essere configurato come elemento strutturale dei contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario.
In questi, gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore della prestazione di garanzia è idoneo a ledere diritti inviolabili della persona cagionando anche pregiudizi non patrimoniali. Pertanto, la c.d. informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su un trattamento sanitario per accertamenti in prevenzione o in preparazione, se costituisce di per sé un obbligo o un dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed è elemento indispensabile per la validità del consenso che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, è inoltre un elemento costitutivo della protezione del paziente con rilievo costituzionale, per gli artt. 2, 3, 13, 32 Cost., assieme ad altre norme di diritto positivo, che nel corso del tempo abbiano ad aumentare le garanzie a favore dei consumatori del bene della salute.
Tali principi sono stati ribaditi dalla Suprema Corte che, a seguito del decesso di un paziente occorso sul letto operatorio per improvvisa e mortale ipertensione, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte distrettuale, in parziale accoglimento dell'appello proposto dall'erede avverso la decisione di prime cure, si era limitata a condannare il medico e la casa di cura al risarcimento del danno per la malattia chirurgica nella misura di cinquemila euro, compensando le spese di lite.
Secondo la Cassazione, applicando i principi di garanzia al caso concreto ed in tema di adempimento o esatto adempimento ad una completa ed adeguata informazione, la erronea applicazione della corte distrettuale in tema di principi del consenso informato è stata duplice: da un lato, presuppone che il consenso informato non debba investire anche i rischi dell'intervento sanitario allorché essi non siano letali, pur avendo un alto livello di probabilità statistica, e dall'altro, ritiene non dovuta l'informazione in presenza di una percentuale statistica di mortalità dell'uno per cento, perché fenomeno prossimo al fortuito, mentre la valutazione del rischio appartiene al titolare del diritto esposto, e cioè al paziente e costituisce una operazione di bilanciamento che non può essere annullata in favore della parte che interviene sia pure con intenti salvifici. Sussiste, quindi, conclude la Corte, la prova evidente dell'inadempimento in relazione alla mancata completa informazione sul rischio inerente al primo intervento, con l'effetto che su tale punto resta fermo l'an debeatur, mentre per il quantum dovranno essere riesaminate le pretese risarcitorie dell'erede che agisce in proprio o in tale veste, come si dovrà desumere dall'atto introduttivo.
Cass. Civ., Sez. III, 19 settembre 2014, n. 19731

lunedì 29 settembre 2014

Ipoteca esattoriale: per le Sezioni Unite è nulla l’iscrizione non preceduta da comunicazione al contribuente

Con sentenza n. 19667 del 18 settembre 2014 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio secondo cui l’ipoteca prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 (c.d. ipoteca esattoriale) può essere iscritta senza necessità di procedere a notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, comma 2, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poichè l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, bensì un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria.
Tuttavia, prosegue la Corte, l’affermata inapplicabilità all’iscrizione ipotecaria D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77 della previsione di cui all’art. 50, comma 2, del medesimo decreto non significa che l’iscrizione ipotecaria possa essere eseguita “insciente domino”, senza che la stessa debba essere oggetto di alcuna comunicazione al contribuente.
In tal senso, e per le ragione meglio esposte nella sentenza, la Corte ha affermato i seguenti principi di diritto.
Anche nel regime antecedente l’entrata in vigore dell’art. 77, comma 2 bis, D.P.R., introdotto con D.L. n. 70 del 2011, l’amministrazione, prima di iscrivere ipoteca ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, deve comunicare al contribuente che procederà alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine - che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni - perchè egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto.
L’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’amministrazione di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale”, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo.
Tuttavia in ragione della natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione eseguita in violazione del predetto obbligo conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità.
Cassazione Civile, Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 19667

Prima casa, l’agente della riscossione non può escutere l’unico immobile del debitore adibito ad abitazione

Con sentenza n. 19270 del 12 settembre 2014 la Cassazione ha espresso i seguenti principi di diritto in materia di procedure esecutive da parte dell’agente della riscossione che abbiano ad oggetto l’unico immobile di proprietà del debitore che sia adibito a sua casa di abitazione.
In tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell’avviso di vendita ai sensi dell’ art. 78 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore dell’art. 52, comma 1, lett. g) , del d. 1. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, ai sensi dell’art. 86 del decreto legge n. 69 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 Suppl. Ord. del 2 0 agosto 2013), l’azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell’ esecuzione o per iniziativa dell’agente della riscossione, se l’espropriazione ha ad oggetto l’unico immobile di proprietà del debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale ivi abbia la propria residenza anagrafica.
In caso di sopravvenuta improcedibilità dell’azione esecutiva avente ad oggetto l’unico immobile di proprietà del debitore da parte dell’agente della riscossione ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 come novellato dall’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, l’improcedibilità del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere sull’opposizione all’esecuzione concernente la pignorabilità del bene.

giovedì 25 settembre 2014

BANCHE - PAGAMENTO DI ASSEGNO FALSIFICATO - RESPONSABILITA' DELLA BANCA - VALUTAZIONE SECONDO IL CRITERIO DELL'ACCORDO BANCHIERE.

La Terza Sezione Civile della Casszione ha affermato che, nel caso di pagamento di un assegno bancario falsificato, l’eventuale responsabilità della banca trattaria va valutata secondo il criterio di diligenza dell’accorto banchiere, al fine di verificare quali esami o strumenti consentissero di riscontrare tale falsificazione.
Sentenza n. 6513 del 20/03/2014
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VENDITA – ACQUISTO DI MERCE DESTINATA AL CONSUMO ALIMENTARE UMANO - CONTROLLO DI GENUINITA' DOVUTO DAL COMPRATORE QUALE OPERATORE PROFESSIONALE DEL SETTORE - FONDAMENTO.

L’acquirente di merce destinata al consumo alimentare umano, che sia operatore professionale del settore, ha, nei confronti del consumatore finale, un obbligo di sicurezza, che si traduce in un controllo di genuinità, sia pure a campione, del prodotto poi distribuito su scala industriale, non potendo egli fare esclusivo affidamento sull’osservanza del dovere del rivenditore di fornire cose non adulterate né contraffatte.
Cass. Sez. II Civ. n. 15824 del 08/07/2014
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martedì 23 settembre 2014

Privacy - No a sistemi di videosorveglianza all'interno di spogliatoi aziendali

Il Garante della Privacy, con una prescrizione del 10 luglio 2014, ha impedito a una società, che aveva richiesto l'autorizzazione, di installare sistemi di videosorveglianza all'interno degli spogliatoi aziendali, poiché il progetto avrebbe previsto il minuzioso controllo di un area connotata da una particolare aspettativa di riservatezza.

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lunedì 22 settembre 2014

La Cassazione, con ordinanza 20/05 – 03/09/14, n. 18575, ha affermato che nel giudizio di opposizione a verbale di accertamento per divieto di sosta su strisce blugrava sul Comune opposto, a fronte di una specifica contestazione da parte dell’opponente che lamenti la mancata riserva di una adeguata area destinata a parcheggio libero, la prova dell’esistenza della delibera che escluda la sussistenza di tale obbligo ai sensi dell’art. 7 C.d.S., comma 8.
Ne consegue che i comuni che usufruiscono di parcheggi a pagamento, rimangono tenuti a predisporne altrettanti non a pagamento e, dunque, per la Cassazione il verbale è nullo laddove non vi siano senza aree di sosta gratuita nelle vicinanze.