giovedì 20 novembre 2014

Prelazione agraria e società di capitali

La prelazione agraria a favore del coltivatore del fondo agricolo posto in vendita trova la sua fonte nella legge 26/05/1965 n. 590; alcuni anni dopo, con l'art. 7 della legge n. 817/1971 la prelazione fu estesa anche al proprietario del fondo confinante. La diversa ragione giustificatrice fra le due forme di prelazione fu evidente sin da subito: nel primo caso, con la prelazione del coltivatore del fondo, si intende privilegiare l'impresa agraria sulla proprietà; nella seconda ipotesi, con la prelazione del confinante, la ratio legis risiede nel favorire l'estensione della grandezza del fondo, nel senso di un ampliamento fondiario. Il successivo art. 16, 5° comma, della legge n. 817/71 ha poi allargato la prelazione, per entrambe le ipotesi, pure alle cooperative agricole di coltivatori diretti. 
La prelazione agraria, ai fini della sua applicabilità, richiede la presenza di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi, il cui accertamento sovente presenta non poche difficoltà. Innanzitutto, è fondamentale l'individuazione dei soggetti che possono beneficiare dell'istituto in esame; l'art. 8, comma 1°, della legge n. 590/65 riconosce il diritto di prelazione unicamente a favore di determinati coltivatori diretti del fondo offerto in vendita, a condizione che lo stesso coltivatore, in aggiunta ad altri fondi eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi, non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa del titolare del rapporto agrario. Il successivo comma 1° dell'art. 31 della legge richiamata stabilisce che devono considerarsi coltivatori diretti ai fini della legge medesima coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed al governo del bestiame, sempreché la forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per le normali necessità della coltivazione ed il governo del bestiame.
Il quadro descritto, nella sostanza, non è mutato neanche a seguito dei due provvedimenti legislativi introdotti nel nostro ordinamento dietro impulso della normativa comunitaria: il D. Leg.vo 18/05/2001 n. 228 ed il D. Leg.vo 29/03/2004  n. 99. L'art. 7 del D. Leg.vo n. 228/2001 prevede un criterio di priorità allorquando i coltivatori che, avendone il diritto, intendano esercitare la prelazione siano più di uno; la norma in questione, infatti, ha disposto la prevalenza nell'esercizio del diritto di prelazione in primis ai giovani proprietari coltivatori, anche laddove intervengano in qualità di soci di cooperativa, secondo poi ai proprietari coltivatori più numerosi e, infine, ai proprietari più attrezzati sotto l'aspetto della professionalità. Altra lieve modifica è stata introdotta dal D. Leg.vo n. 99/2004, che da un lato ha riconosciuto qualsiasi veste sociale alle società agricole, seppur a determinate condizioni, ma dall'altro ha riservato il diritto di prelazione esclusivamente alle società agricole di persone che abbiano tra i loro soci un numero consistente di coltivatori diretti. 
Un'altra delle condizione affinché il coltivatore insediato sul fondo possa esercitare il diritto di prelazione è quella che egli coltivi il fondo stesso da almeno un biennio, così come previsto dall'art. 8 della legge n. 590/65, modificato dall'art. 7 della legge n. 817/71. Scopo della norma in esame è quello di garantire un determinato periodo di permanenza sul fondo proprio per giustificare la preferenza concessa dal legislatore. Altro requisito richiesto per l'esercizio della prelazione è l'assenza di alienazioni compiute nei due anni precedenti dal coltivatore. La finalità di simile requisito, previsto sempre dall'art. 8 della legge 590/65, risiede nell'evitare condotte del coltivatore ispirate a fini speculativi piuttosto che alla coltivazione del fondo. Occorre evidenziare, in proposito, il carattere eccezionale dell'istituto in questione, la cui capacità di comprimere l'altrui diritto di proprietà deve essere bilanciato dall'interesse primario di permettere la continuazione dell'attività agricola sul fondo alienando, il che richiede sia l'attualità della coltivazione sia la continuità della medesima in un tempo successivo.
Per quanto concerne la prelazione agraria del confinante, i requisiti richiesti per potersene avvalere sono quelli sin qui descritti, ad essi deve poi aggiungersi quello dell'individuazione esatta di cosa si intende per terreno confinante con quello posto in vendita. Dopo un contrastato iter giurisprudenziale si è giunti a ritenere che il diritto di prelazione, integrando anche in questo caso una limitazione della circolazione della proprietà agricola e della autonomia negoziale, spetti unicamente nel caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, ossia per terreni adiacenti e contigui, con contatto reciproco, a nulla rilevando la cosiddetta contiguità funzionale, che si riscontra in caso di terreni separati ma destinati ad essere accorpati in un'unica azienda agraria. Ne deriva che il diritto in esame difetti ogniqualvolta tra i fondi non vi sia contiguità fisica, a causa dell'esistenza di uno spazio interruttivo naturale o artificiale, come ad esempio una strada comunale o interpoderale, un canale pubblico od un corso d'acqua (Cass. 17/07/2002 n. 10377 e 26/11/2007 n. 24622).
Per quanto sin qui detto, si può dunque affermare che in tema di diritto di prelazione e riscatto, per il disposto dell'art. 7 della legge n. 817/71, al proprietario di un fondo agricolo confinante con altro offerto in vendita compete il diritto di prelazione, ovvero il succedaneo diritto di retratto, se ricorrono nei suoi confronti tutte le condizioni dall'art. 8 della legge n. 590/65, a cui il citato articolo 7 espressamente rinvia e, quindi, la qualifica di coltivatore diretto, la coltivazione biennale dei terreni agricoli confinanti di sua proprietà, il possesso della forza lavorativa adeguata ed il non aver effettuato alienazioni di fondi rustici nel biennio precedente. In buona sostanza, il vigente sistema positivo non garantisce il diritto di prelazione nell'acquisto di fondi rustici a tutti i coltivatori diretti in generale, ma unicamente a coloro che, in tale veste, si trovino in un particolare rapporto con il fondo in vendita. In particolare, il proprietario del fondo confinante con quello in procinto di essere ceduto, risulta titolare del diritto di prelazione ovvero di riscatto, in quanto possieda la qualità di coltivatore diretto e nel contempo coltivi direttamente i terreni confinanti con quello in vendita. In aggiunta a ciò, il menzionato art. 7 della legge n. 817/71 esclude il diritto di prelazione del proprietario del fondo confinante se sui fondi offerti in vendita siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti (Cass. Civ., Sez. III, 27/01/2011 n. 2019). L'eventuale perdita di proprietà del fondo da parte del confinante intervenuta dopo che questi abbia esercitato il diritto di prelazione o riscatto, non incide sull'acquisto già operato (Cass. 28/06/1994 n. 6192).     
Appurati i casi in cui opera la prelazione agraria, passiamo a verificare se, sotto il profilo soggettivo, possano beneficiarne anche le società di capitali, in aggiunta ai soggetti sin qui indicati.
Sin dall'entrata in vigore della legge nel 1965 ed almeno sino alle novità introdotte dietro impulso della Comunità Europea, la dottrina dominante, prendendo spunto anche da decisioni oggi remote con le quali si riconobbe l'operatività della prelazione a favore del confinante quando sul fondo posto in vendita fosse insediato un affittuario “capitalista”, espressione con cui si voleva indicare chi non era coltivatore diretto ossia colui che conduce l'impresa agricola con prevalenza di capitale e manodopera salariata, non ha mancato di rilevare che la normativa sulla prelazione agraria trovava la sua fonte specifica nel nostro ordinamento, sul presupposto che la figura del coltivatore diretto costituisse la "tipica figura del diritto italiano". In buona sostanza, si tentava di mantenere distinto in modo incisivo l'imprenditore agricolo dall'imprenditore commerciale, per la diversa e più favorevole disciplina che caratterizza il primo rispetto al secondo, per cui si tendeva a circoscrivere in ambiti ristretti il concetto di imprenditore agricolo.
La Comunita Europea ha tuttavia ampliato questi concetti e, sostanzialmente, ha indotto il nostro legislatore a far propria la figura dell'imprenditore agricolo professionale, appunto con il D. Leg.vo n. 99/04. Quest'ultimo ha infatti offerto una qualificazione dell'imprenditore agricolo professionale sulla base di un duplice requisito: a) quantità di lavoro dedicato alle attività agricole (almeno il 50 per cento del proprio tempo lavorativo); b) quantità di reddito globale da lavoro ricavato dall'agricoltura (almeno il 50 per cento). Presupposto di tutto rimane comunque il fatto che egli dedichi la sua attività lavorativa in agricoltura direttamente o in qualità di socio di società. 
La qualifica di imprenditore agricolo professionale viene, inoltre, riconosciuta anche alle società (di persone, cooperative, di capitali) a determinate condizioni: a) l'oggetto sociale esclusivo deve concernere attività agricola ai sensi dell'art. 2135 c.c.(e quindi la società va qualificata come società agricola); b) se società di persone, almeno un socio (in particolare l'accomandatario) deve rivestire la qualifica di imprendere agricolo professionale; c) se società cooperative, almeno un quinto dei soci deve rivestire detta qualifica; d) se società di capitali, almeno un amministratore deve rivestire detta qualifica.
Considerato come il D. Leg.vo n. 288/01 non sembra avere inteso ampliare la cerchia dei beneficiari del diritto di prelazione rispetto alla precedente disciplina, si tratta ora di verificare se detta cerchia sia stata ampliata per effetto dell'art. 2, 3° comma, del D. Leg.vo n. 99/04, il quale dispone che la prelazione agraria sia del soggetto insediato sul fondo sia del confinante "spetta anche alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 e seguenti del codice civile". 
La norma è certamente innovativa, perché in precedenza il diritto di prelazione era previsto, oltre che a favore del coltivatore diretto, solo a favore della cooperativa agricola, per effetto della modifica intervenuta nel 1971, modifiche che, tuttavia, costituirono oggetto di disputa in seno alla Cassazione civile, la quale, nel silenzio della norma, da un lato ne affermava l'applicabilità prescindendo dalla qualità di coltivatore diretto dei soci; da un altro lato riteneva indispensabile, per l'operatività della prelazione, l'applicabilità anche per le cooperative agricole dell'art. 8, 1° comma, della legge n. 590/65 in tema di condizioni soggettive del coltivatore diretto.
Il D. Leg.vo n. 99/04 porta ancora più in avanti questa tendenza ampliativa dei soggetti beneficiari della prelazione agraria. Il provvedimento, dopo avere qualificato le società agricole come imprenditori agricoli professionali, ne ha individuato alcuni requisiti basilari come innanzi elencati. E qui si inserisce la norma sulla prelazione, che viene estesa anche alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Questa norma chiarisce in modo netto, senza pretendere un'interpretazione giurisprudenziale chiarificatrice alla stessa stregua dell'interpretazione che ha richiesto la precedente norma sulle cooperative agricole, lo stretto collegamento che deve sussistere tra la coltivazione diretta del fondo e la prelazione agraria.
A questo punto, si impone una duplice riflessione:
a) il D. Leg.vo n. 99/04 prevede fra le società agricole tutti i tipi di società, a determinate condizioni, ma riserva il diritto di prelazione soltanto alle società agricole di persone. Ciò è ulteriore prova del fatto che ampliando la sfera degli imprenditori agricoli non viene automaticamente ampliata la sfera dei soggetti beneficiari del diritto di prelazione;
b) non tutte le società agricole di persone godono del diritto di prelazione, ma soltanto le società che abbiano tra i soci un buon numero di coltivatori diretti. 
Ne deriva che nessuna influenza sembra possa attribuirsi all'ampliamento del concetto di imprenditore agricolo recato sulla spinta della normativa europea. Basti riflettere che in ossequio al diritto europeo è stata prevista ad un tempo la capacità di reddito e del tempo lavorativo nella misura del 50 per cento, mentre per il coltivatore diretto beneficiario della prelazione agraria non è prevista per nulla la capacità di reddito e la capacità della complessiva forza lavorativa invece prevista viene limitata al 30 per cento (non al 50 per cento) di quella occorrente per la necessità del fondo. Ma soprattutto va precisato che l'ampliamento del concetto di imprenditore agricolo tiene conto anche di un possibile disancoramento di esso da un fondo agricolo, il che rende impossibile un riferimento automatico dell'imprenditore agricolo disegnato dalle nuove norme su impulso comunitario al coltivatore diretto indicato dalle norme speciali sulla prelazione agraria. Inoltre non va sottovalutata la considerazione che l'istituto della prelazione agraria è stato ritenuto, come detto, istituto di natura eccezionale, in quanto limitativo del diritto di proprietà in una delle sue fondamentali manifestazioni: la libera disponibilità del bene da parte del proprietario. Il che comporta che esso non possa essere esteso per analogia a soggetti che la legge non abbia espressamente previsto come beneficiari del diritto ed unici legittimati ad esercitarlo. 
In conclusione, proprio tenuto conto della tassatività dell’elencazione dei soggetti riconosciuti dalla normativa vigente titolari del diritto di prelazione agraria, si può affermare che una società di capitali non può in alcun modo esercitare il diritto di prelazione agraria.

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