venerdì 30 gennaio 2015

Maltrattamenti in famiglia

La Suprema Corte ha affermato che integra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi la condotta del marito che sottopone la moglie, nell'arco di un anno, a tre gravi e violente aggressioni fisiche, le quali si aggiungono a una situazione familiare contrassegnata dallo stato di frequente ubriachezza dello stesso, durante il quale egli sottopone la donna a insulti e vessazioni morali. 
La Corte di Cassazione ha, innanzitutto, ribadito il fermo orientamento giurisprudenziale che individua nel delitto di maltrattamenti in famiglia un reato abituale, caratterizzato dall'imposizione alla vittima di un regime di vita oggettivamente vessatorio, connotato da sofferenze fisiche e/o morali.
Per la sussistenza del reato non è necessario che tutte le condotte di maltrattamento integrino gli estremi di un reato, se singolarmente considerate; tali condotte possono però configurare, complessivamente considerate, il reato di maltrattamenti quando realizzino un regime di vita avvilente e mortificante, diretto a ledere l'integrità morale della persona offesa. Assumono, dunque, rilevanza, ai fini della sussistenza del delitto ex art. 572 c.p., anche i comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall'imputato nei confronti del coniuge, nonché gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali. 
Il reato è, infine, integrato anche quando le condotte di maltrattamenti non realizzino l'unico registro comunicativo col familiare, ben potendo essere intervallate da condotte non connotate da mancanza di rispetto e da aggressività o persino dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la persona offesa.
Cass. Pen., Sez. VI, 14/01/2015, n. 1400


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