giovedì 19 novembre 2015

Caduta alunno in aula responsabilità insegnante.

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha espresso il principio secondo il quale l'insegnante, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 c.c. posta a suo carico, è tenuto a dimostrare di aver adottato preventivamente tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi della serie causale che ha condotto all'evento lesivo e che, nonostante ciò, il fatto dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità, ha impedito un tempestivo ed efficace intervento. 
Pertanto, laddove l'insegnante non riesce a fornire la prova suddetta, il Ministero è chiamato a risarcire l'alunno. 
Nel caso in questione, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto sussistere la responsabilità dell'insegnante poiché questa si era assentata senza affidare la custodia della classe a bidelli o ad altri soggetti in sua sostituzione ed in quanto l'incidente occorso all'alunno, caduto perché una compagna di classe gli aveva sfilatola sedia, deve essere considerato quale evento prevedibile.
La pronuncia è stata motivata come segue.
"Occorre muovere dalla considerazione che presupposto della responsabilità dell’insegnante per il danno subito dall’allievo, nonché fondamento del dovere di vigilanza sul medesimo, è la circostanza che costui gli sia stato affidato, sicché chi agisce per ottenere il risarcimento deve dimostrare che l’èvento dannoso si è verificato nel tempo in cui l’alunno era sottoposto alla sorveglianza del docente, restando indifferente che venga invocata la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie (cfr. Cass. civ. 16 febbraio 2015, n. 3081; Cass. civ. 10 ottobre 2008, n. 24997). A ciò aggiungasi, con particolare riguardo alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 cod. civ., che la giurisprudenza di questa Corte considera, sì, dirimente la dimostrazione, da parte dell’insegnante, dell’esercizio della vigilanza nella misura dovuta nonché della imprevedibilità e repentinità in concreto dell’azione dannosa, ma costantemente avverte che, ove manchino le più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina tra gli allievi, non si può neppure invocare l’imprevedibilità del fatto. Ne deriva che questa ha portata liberatoria solo nell’ipotesi in cui non sia stato possibile evitare l’evento nonostante l’approntamento di un sistema di vigilanza adeguato alle circostanze (cfr. Cass. civ. 22 aprile 2009, n. 9542; Cass. civ. 18 aprile 2001, n. 5668; Cass. civ. 21 agosto 1997, n. 7821; Cass. civ. 24 febbraio 1997, n. 1683; Cass. civ. 22 gennaio 1990, n. 318). 3 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale si è segnatamente occupata della dinamica dell’incidente ritenendo, da un lato, indimostrato che la caduta di S. M. fosse stata determinata dalla sottrazione, ad opera di D.M., della sedia sulla quale stava per sedersi (come sostenuto dagli attori), piuttosto che dalla contesa della medesima sedia tra lui e la compagna (come dedotto dai convenuti); e qualificando, dall’altro, in termini di imprevedibilità e repentinità l’iniziativa in tesi assunta dall’allieva, avvenuta in un’aula ove era comunque presente il bidello. Proprio quest’ultima notazione disvela tuttavia l’insufficienza dell’approccio del giudice di merito con le problematiche sottese al superamento della presunzione della responsabilità del precettore, avendo il decidente sostanzialmente ignorato l’assoluta centralità dell’assolvimento, da parte dello stesso, dell’obbligo di vigilanza nella misura dovuta. Non può invero sfuggire che, per poter ritenere raggiunta la prova liberatoria nei termini imposti dall’art. 2048 cod. civ., era necessario indagare sulle condizioni dell’affidamento dei discenti, impegnati peraltro in un’attività extracurricolare, alla sorveglianza dell’ausiliario, a partire dalla eventuale adibizione di questi anche ad altre incombenze. La mancanza di una adeguata verifica in ordine all’approntamento, in via preventiva, di cautele idonee, secondo una valutazione ex ante, a scongiurare situazioni di pericolo, vulnera in maniera irredimibile la scelta decisoria adottata, tanto più che, a ben vedere, la caduta conseguente alla contesa di una sedia tra due ragazzini è accadimento la cui qualificazione in termini di repentinità, imprevedibilità ed evitabilità non appare del tutto scontata. Ne deriva che, ragionando secondo gli schemi delineati negli interventi nomofilattici del giudice di legittimità, la negativa valutazione in ordine alla dinamica dell’incidente posta a base della pretesa azionata potrebbe risultare sostanzialmente neutra ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’insegnante al quale gli allievi erano stati affidati".
Cass. Civ., Sez. III, 13/11/2015, n. 23202

mercoledì 18 novembre 2015

Responsabilità professionale avvocato.

Le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono pacificamente considerate, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, obbligazioni di mezzi e non di risultato; in buona sostanza il professionista,  nel momento in cui assume l'incarico, si obbliga a prestare la propria opera in vista del raggiungimento di un determinato risultato senza accollarsi, invece, alcun obbligo in ordine al conseguimento del medesimo.
La natura dell’obbligazione, come appena descritta, si ripercuote inevitabilmente sui criteri alla stregua dei quali dovrà essere valutato l’eventuale inadempimento; il professionista, infatti, è tenuto a rispondere non già per il mancato raggiungimento del risultato sperato dal creditore, bensì solo nel caso cui abbia violato i doveri inerenti allo svolgimento della propria attività professionale, ed in particolare quel dovere di diligenza media che il secondo comma dell’art. 1176 c.c. gli impone.
Con specifico riferimento alla responsabilità professionale dell’avvocato, la consolidata giurisprudenza della Cassazione (ex multis Cass. Civ., 9 giugno 2004, n. 10966; Cass. Civ., 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. Civ., sentenza 26 aprile 2010, n. 9917; Cass. Civ., sentenza 5 febbraio 2013, n. 2638) ha precisato che il riconoscimento della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Il cliente che lamenta l’inadempimento, e nel contempo invoca il risarcimento, è tenuto, quindi, a provare in termini probabilistici che senza la negligenza e/o l'imperizia del legale, il risultato voluto sarebbe stato conseguito (in tal senso si esprime anche Cass. Civ., sentenza 10 dicembre 2012, n. 22376).
Tale orientamento è stato recentemente confermato dai Giudici di legittimità, secondo i quali “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici” (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 13/02/2014 n. 3355).
In ordine alla responsabilità del professionista, poi, la Corte nella sentenza appena menzionata, oltre a richiamare il proprio consolidato orientamento in materia precisa che “nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico”
Grava quindi sul cliente che lamenti l’inadempimento da parte del professionista alla propria obbligazione, l'onere di fornire la prova, supportata da idonei dati obiettivi, in base alla quale il Giudice è chiamato a valutare se, in relazione alla natura del caso concreto, l'attività svolta dal professionista possa essere giudicata sufficiente o meno (Cass. Civ., sentenza 18 aprile 2007, n. 9238). Egli, pertanto, sarà tenuto a provare non solo di aver subito un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla negligente prestazione professionale (Cass. Civ., sentenza 27 maggio 2009, n. 12354).
Ne deriva così una forma di responsabilità che sfugge, in parte, alle normali regole della responsabilità contrattuale, per far valere la quale il creditore può limitarsi alla prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, allegando l’inadempimento della controparte; sarà poi il debitore convenuto a dover fornire la prova dall'avvenuto adempimento o comunque di un fatto estintivo del diritto fatto valere in giudizio. Nel caso di responsabilità professionale, per il creditore non è sufficiente allegare un generico inadempimento, fonte di danno, occorre, altresì, che lo stesso fornisca la prova del nesso causale tra il danno e l’inadeguatezza della condotta professionale del prestatore d’opera intellettuale.
Tale peculiarità è conseguenza proprio della natura stessa della prestazione professionale che, come detto, è prestazione di mezzi e non di risultato.

martedì 17 novembre 2015

Agevolazioni fiscali prima casa immobile di lusso superficie.

La Corte di Cassazione con una recente sentenza dello scorso 7 ottobre ha ribadito il proprio orientamento consolidato in tema di requisiti per poter usufruire delle agevolazioni prima casa.
Hanno, infatti, sostenuto i Giudici di legittimità che "in materia di imposta di registro, ipotecarie o catastali, per stabilire se un'abitazione sia di lusso e, quindi non possa essere ammessa a godere dei benefici previsti per l'acquisto della prima casa, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, la sua superficie utile, che deve essere complessivamente superiore a 240 mq, va calcolata secondo quanto previsto dal D.M. Lavori Pubblici n. 1072 del 1969, e dunque determinata in base a quella che, dall'estensione globale riportata nell'atto di acquisto sottoposto all'imposta, residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina".
Nello specifico, il superamento del limite dei 240 mq comporto la perdita delle agevolazioni in questione; ai fini del computo, tuttavia, non devono essere considerati i vani accessori, come quelli riportati nella massima.
Cass. Civ., Sez. V, 07/10/2015 n. 20031.

giovedì 5 novembre 2015

Il professionista può legittimamente erogare prestazioni a parenti ed amici a titolo gratuito.

La Cassazione, con la sentenza n. 21972 depositata il 28 ottobre 2015, ha stabilito che il contribuente è legittimato a prestare servizi professionali a titolo gratuito ad amici e parenti, senza che il fisco possa inventare compensi e redditi mai percepiti.
Gli ermellini hanno rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, la quale aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva ritenuto illegittimo l'accertamento nei confronti di un consulente fiscale che non aveva emesso fatture a 72 clienti, a favore dei quali aveva reso prestazioni a titolo gratuito stante i rapporti di parentela od amicizia tra loro. 
L'Agenzia delle Entrate, sul presupposto che fosse impossibile effettuare prestazioni senza ricevere compenso alcuno, aveva vinto in primo grado, per poi veder la decisione ribaltata dalla CTR, sul presupposto che, a fronte della corretta contabilità tenuta dal contribuente, lo stesso, limitatosi unicamente all'invio telematico di persone fisiche socie di società sue clienti, ben poteva svolgere simile attività ai fini dell'incremento della clientela.
La Cassazione ha confermato la pronuncia di secondo grado, ritenendo possibile "in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell'elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti "non paganti") e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l'attività svolta in loro favore riguardava soltanto l'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata  all'incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l'assunto del contribuente circa la sua gratuità.
Corte di Cassazione sentenza 28/10/2015 n. 21972

venerdì 30 ottobre 2015

Scioglimento comunione assegnazione ed attribuzione quote.

L'orientamento ormai consolidatosi della giurisprudenza sull'art. 729 c.c., non dà al criterio dell'estrazione a sorte carattere assoluto bensì soltanto tendenziale e, come tale, può essere agevolmente superato quando vi siano ragioni che lo richiedano.
La Suprema Corte ha, invero, affermato che “in tema di scioglimento della comunione relativa ad un immobile comodamente divisibile, il giudice di merito gode di un'ampia discrezionalità nell'esercizio del potere di attribuzione delle porzioni ai condividenti, salvo l'obbligo di darne conto in motivazione; nell'esercizio di tale potere discrezionale, egli può considerare anche gli interessi individuali delle parti aventi ad oggetto beni estranei alla comunione - confrontandoli con gli altri interessi rilevanti nella specie - allo scopo di compiere la scelta più appropriata”  (Cassazione Civ., Sez. II, Sentenza 15/10/2010 n. 21319).
Il principio è stato poi ribadito da una successiva decisione in cui si ribadisce che “il criterio dell'estrazione a sorte previsto dall'art. 729 cod. civ. nel caso di uguaglianza di quote a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo - applicabile anche nell'ipotesi di divisione dei beni comuni, in virtù del rinvio recettizio di cui all'art. 1116 cod. civ. - non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, quale risulterebbe dall'applicazione della regola del sorteggio, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza 27/12/2012 n. 23930). 
Ancor più recentemente tali argomenti sono stati rafforzati con l'assunto che “il criterio dell'estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall'art. 729 c.c. a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, essendo pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del difetto di motivazione, ad esempio in presenza di documenti risalenti a tentativi di definizione bonaria della controversia” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza  13/03/2014 n. 5866) .
Sulla base dei principi appena enunciati, si può, quindi, sostenere senza tema di smentita che il principio posto dall'art. 729 c.c. non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è, pertanto, derogabile, in presenza di valide ragioni, in base a valutazioni prettamente discrezionali, insindacabili in sede di legittimità salvo che sotto il profilo dell'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. 

giovedì 29 ottobre 2015

Liquidazione dell'attivo nell'eredità beneficiata.

Al fine di soddisfare i diritti dei creditori ereditari e dei legatari, l'erede con beneficio d'inventario dispone di diverse alternative: la cosiddetta liquidazione individuale ovvero quella concorsuale ovvero il rilascio di tutti i beni ereditari.
Con riguardo alla prima, in realtà, la lettera della legge non utilizza l'espressione "liquidazione" e ciò perché in questa può mancare l'attività propria della liquidazione, intendendosi per essa la conversione dei beni in denaro per il pagamento; per tale motivo la dottrina preferisce parlare di una procedura di pagamenti individuali.
In mancanza di una particolare opzione da parte dell'erede o di un creditore ereditario o legatario, la legge prevede l'operare della procedura dei pagamenti individuali poiché quest'ultima procedura presenta dei vantaggi, in quanto comporta di norma minori spese rispetto alla liquidazione concorsuale.
Tuttavia, per poter dare concreta esecuzione ai pagamenti individuali, l'art. 495 c.c. si richiede la presenza di alcuni presupposti. Il primo è di ordine temporale e consiste nel fatto che sia trascorso almeno un mese dall'adempimento delle formalità di pubblicità dell'accettazione beneficiata e dell'inventario di cui all'art. 484 c.c. La ratio è quella di lasciare un termine ai creditori ereditari e legatari per decidere se avvalersi o meno della diversa procedura di liquidazione concorsuale. Il secondo e terzo presupposto sono, invece, di ordine negativo e concernono la mancanza di una opposizione ai pagamenti individuali fatta dai creditori o legatari ovvero della scelta per la liquidazione concorsuale effettuata dallo stesso erede.
Il passaggio è di estrema rilevanza e merita un'ulteriore riflessione.
L'art. 495 c.c. disciplina la liquidazione individuale e prevede due condizioni essenziali per procedervi.
Prima condizione (positiva temporale) è che l'erede beneficiato debba attendere il decorso del termine dilatorio previsto dall'art. 495 c.c., ossia il termine di un mese dall'annotazione sul registro delle successioni, a carico del cancelliere, dalla data in cui l'inventario è stato compiuto, ai sensi del disposto del 5° comma dell'articolo 484 c.c..
Seconda condizione (negativa potestativa) della liquidazione individuale è che i creditori e legatari, nel termine anzidetto, non abbiano fatto opposizione, imponendo così all'erede beneficiato di procedere alla liquidazione concorsuale.
L'erede beneficiato, qualora intenda valersi della liquidazione individuale, può, senza indugio, provvedere al pagamento dei creditori e dei legatari "a misura che si presentano, salvo i diritti di poziorità".
La liquidazione individuale, pertanto, secondo quanto prevede la norma non è improntata al principio della "par condicio creditorum", bensì al principio del "prior in tempore potior in iure", per cui ne deriva che l'erede può liberamente pagare, senza essere tenuto ad osservare altro ordine che non sia quello determinato dalla cronologia delle richieste di pagamento; né l'erede ha la possibilità e il potere di riservare somme per i creditori privilegiati che ancora non si siano presentati, ma di cui sia nota l'esistenza, poiché invece egli è tenuto a pagare integralmente i creditori, secondo l'ordine di presentazione, finché sussistano attività ereditarie, senza prendere in considerazione la natura del credito.
La liquidazione individuale è, dunque, improntata al principio della libertà dei pagamenti giacché l'erede può effettuarli senza l'osservanza di alcun criterio di collocazione del credito, salvo quello determinato dall'ordine di presentazione delle domande.  La libertà che l'erede beneficiato ha di pagare liberamente i creditori e legatari, però, non è assoluta perché trova certamente un limite nei diritti di poziorità eventualmente vantati da alcuno dei creditori.
I diritti di poziorità sono quelli disciplinati dal legislatore nell'articolo 2741 c.c., definiti cause legittime di prelazione e sono: i privilegi, il pegno e l'ipoteca.
Il rispetto di essi è subordinato al fatto che devono essere stati acquistati prima dell'apertura della successione. Ciò si desume direttamente dall'articolo 2830 c.c., a norma del quale l'erede non può costituire diritti di prelazione a favore dei creditori ereditari o legatari e i creditori da parte loro non possono iscrivere ipoteche giudiziali sui beni di eredità accettate con beneficio di inventario neppure in base a sentenze pronunciate anteriormente alla morte del debitore .

mercoledì 21 ottobre 2015

Responsabilità medico chirurgica.

La Cassazione è tornata ad occuparsi della responsabilità professionale medica, questa volta in relazione alla ottemperanza da parte della struttura della normativa vigente in tema di sicurezza, affermando che "in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’osservanza da parte di un nosocomio – pubblico o privato – delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza".
La pronuncia introduce, quindi, il principio secondo il quale la responsabilità in questione non può essere esclusa o limitata dalla presenza delle dotazioni previste ex lege, il  cui utilizzo da parte dei sanitari non può prescindere dall'osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza,