tag:blogger.com,1999:blog-23347158965447507602024-03-05T02:30:07.496-08:00News GiuridicheNEWS MMS -
Raccolta di giurisprudenza a cura dell'Avv. Fabrizio MariniFabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.comBlogger85125tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-21468106198211058282021-05-10T01:34:00.005-07:002021-05-10T10:31:09.782-07:00Azienda Sanitaria Locale natura di Ente Pubblico Economico e conseguente inapplicabilità del termine dilatorio ex art. 14, comma 1°, D.L. n. 669/96 s.m.i.In un precedente post del novembre 2014 è stato affrontato il tema della natura delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, con lo scopo di verificare se ad esse si applichi o meno il termine dilatorio previsto nell'art. 14, comma 1°, del D.L. n. 669/96 e s.m.i.. <div>Visto il successo riscosso dal post, che ha avuto migliaia di visualizzazioni, pubblichiamo volentieri la recente sentenza della Corte di Appello di Roma, decisione che ha confermato l'inapplicabilità alle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere del termine dilatorio in questione, stante la loro natura di Enti Pubblici Economici, e che può essere letta integralmente tramite il link che segue.</div><div>Segnatamente la Corte di Appello ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (30/01/2008 n. 2031, 04/07/2014 n. 15304, 07/12/2016 n. 25048) dalla quale emerge la qualificazione delle Aziende Sanitarie <i>"come enti, non solo operanti secondo i moduli di diritto privato, ma esplicitamente caratterizzati da una finalità di tipo imprenditoriale, a propria volta tipico indice rivelatore della natura economica dell'ente pubblico"</i>.</div><div><a href="https://drive.google.com/file/d/1hxI6wf1IRBfGFl2q6q9J8DusvHRpeZ3d/view?usp=sharing" target="_blank">Sentenza di appello</a><br /></div>Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-22015207260044865332019-11-04T06:07:00.000-08:002019-11-04T06:07:15.853-08:00Avvocato stabilito - Mancanza atto di intesa nullità della procura e carenza assoluta dello ius postulandi.<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il Tribunale di Frosinone in una recente sentenza ha ritenuto fondata l'eccezione in oggetto formulata da questo studio ed argomentata come segue.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L'art. 8 del D.Lgs n. 96 del 02/02/2001, ovverosia il decreto che ha recepito ed attuato la direttiva n. 98/5/CE volta a consentire l'esercizio della professione di avvocato in uno Stato membro differente da quello in cui si è acquisita la qualifica, dispone alla lettera:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>“1. Nell'esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari nei quali e' necessaria la nomina di un difensore, l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima e' responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.</i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>2. L'intesa di cui al comma 1 deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all'autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell'assistito”</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Occorrerà, pertanto, stabilire quali siano le conseguenze dell'omesso deposito all'atto della costituzione dell'intesa in questione sancita in una scrittura privata autenticata ovvero della dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al Giudice adito.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I Giudici di Piazza Cavour, chiamati a pronunciarsi sull'argomento, hanno affermato la nullità della procura alle liti rilasciata a favore di un avvocato stabilito, per mancanza della necessaria intesa di affiancamento con un avvocato iscritto in Italia (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 30709 del 21 dicembre 2017).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il principio di diritto fissato nel provvedimento appena richiamato consiste nell'aver ritenuta invalida la procura rilasciata ad un avvocato stabilito in difetto di una specifica intesa con un avvocato affiancante poiché l’avvocato stabilito può sì svolgere attività giudiziale in Italia ma solo se affiancato da un avvocato iscritto in Italia e tale affiancamento risulti da una specifica intesa riferita alla singola controversia; intesa che non dovrà essere generica, dovendosi ricondurre alla singola controversia oggetto di affiancamento, e che dovrà sussistere al momento della costituzione in giudizio ed essere formalizzata in una scrittura privata autenticata oppure in una dichiarazione congiunta resa dagli avvocati al Giudice adito.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L’avvocato stabilito, in altri termini, può ovviare alla firma congiunta degli atti processuali assieme al collega italiano unicamente nel caso in cui con esso abbia raggiunto un’intesa che presenti le seguenti caratteristiche: risulti da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al Giudice adito o all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, ovvero, al primo atto di difesa dell’assistito.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Solo operando con le descritte modalità si viene ad instaurare una legittima rappresentanza processuale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La giurisprudenza di merito, richiamandosi ai numerosi pareri espressi in argomento dal CNF, in situazioni analoghe a quella di nostro interesse ha rilevato la nullità della procura conferita all’avvocato stabilito in carenza dei suddetti requisiti, in quanto ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 96/2001, l’avvocato stabilito sia privo di un generale ed autonomo ius postulandi nel territorio italiano in mancanza di una intesa di affiancamento con un avvocato italiano riconducibile alla specifica lite (vedi su tutte Tribunale di Torino Sezione VIII Civile Sentenza 17 ottobre 2016, n. 3577 e Tribunale Milano, sentenza 04 Dicembre 2017 n. 18722).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Invero il dato testuale della norma non lascia spazio a diverse interpretazioni; In particolare, il secondo comma del citato art. 8 impone la riferibilità alla singola controversia dell’intesa di affiancamento, lasciando discrezionalità esclusivamente sulla forma utilizzabile (potendo risultare o da scrittura privata autenticata o da dichiarazione di entrambi i difensori diretta al Giudice adito). Deve quindi escludersi come la predetta norma possa ritenersi soddisfatta sulla base della sola dichiarazione resa dall’avvocato affiancante al Consiglio dell'Ordine al momento dell’iscrizione dell’avvocato stabilito in Italia (dichiarazione che, come ritenuto dal CNF, non è neppure essenziale per l’iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Di conseguenza l'avvocato stabilito che non produca entro la costituzione in giudizio della parte rappresentata la dichiarazione d'intesa con l'avvocato italiano affiancante, imposta dall'art. 8 d.lgs. n. 96/01 – norma di natura imperativa, inderogabile e con finalità pubblicistica – è privo di ius postulandi ex art. 82, comma 3, c.p.c. L'atto di citazione e la procura alle liti in calce sottoscritti dal solo avvocato stabilito sono, pertanto, affetti da nullità assoluta e insanabile, con conseguente inammissibilità dell'azione avviata. Trattasi infatti di vizio che non può essere sanato ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c. – misura applicabile solo ai difetti attinenti alla capacità processuale – né attraverso il rilascio di una nuova procura alle liti in sede di memoria ex art. 183, comma 3, n. 1, c.p.c. né attraverso la costituzione di altro avvocato.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nello specifico, la carenza di ius postulandi dell'avvocato stabilito non dipende dai vizi della procura ad litem bensì dal divieto di rappresentare in giudizio la parte senza l'affiancamento di un avvocato italiano. La norma è infatti perentoria nell'affermare che “l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato”. Di talchè la fattispecie rimane del tutto estranea all’ambito di operatività dell’art. 182. comma 2°, c.p.c., che consente di sanare la procura viziata solo “sul versante” del Cliente e non anche dell’avvocato. Ci si trova, pertanto, in presenza di una procura del tutto inesistente poiché sottoscritta da avvocato straniero privo dello ius postulandi e, come tale, insanabile.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Inoltre, la possibilità di sanare il difetto/carenza di dichiarazione d’intesa si pone in netto contrasto con la ratio della norma, la quale richiede che il controllo dell’avvocato italiano sia ab origine e, all’uopo, dispone expressis verbis che la dichiarazione sia depositata <i>“anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa” </i>(art. 8 c.2 d.lgs. n° 96/01).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La carenza dello ius postulandi rappresenta così un ostacolo insormontabile, dal quale discende l’inammissibilità della domanda senza possibilità di alcuna sanatoria.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A sostegno della conclusione prospettata, depone altresì l’evidente parallelo giuridico esistente tra l’ipotesi di carenza di ius postulandi dell’avvocato straniero e quella dell’avvocato non iscritto all’Albo speciale dei cassazionisti che propone un ricorso dinanzi alla Suprema Corte. Nel caso in cui si adisca il Giudice di nomofilachia pur non essendo iscritti all’Albo speciale dei Cassazionisti, il ricorso è dichiarato inammissibile poiché nullo per carenza dello ius postulandi senza alcuna possibilità di sanare il vizio ex post, ad esempio con una nomina tardiva di avvocato cassazionista che ratifichi l'operato del collega, oppure con l'iscrizione successiva e/o tardiva all'albo speciale (Cass. n. 42491/12).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Come per l’avvocato cassazionista, dunque, anche per l’avvocato stabilito lo ius postulandi è condizionato dalla presenza di specifici requisiti ulteriori rispetto al titolo di avvocato, nello specifico individuati dall’art. 8 del d.lgs. n° 96/01 (<i>“l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato”</i>), in mancanza dei quali il professionista non è abilitato a proporre domanda giudiziale, che per questo, ove proposta in detti termini, deve considerarsi radicalmente inammissibile</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Di seguito il link della sentenza del Tribunale di Frosinone.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://drive.google.com/file/d/1fpP4Zor9rZk9zRNN5pP_jWsvVM_1vTqV/view?usp=sharing" target="_blank">Sentenza Tribunale Frosinone</a></span></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-39073163635691357572016-05-12T10:18:00.000-07:002016-05-12T10:18:11.393-07:00Limiti all'autonomia negoziale dei privati nei contratti con la Pubblica Amministrazione in caso di rinnovo, proroga e rinegoziazione dei prezzi. Nuovo codice degli appalti.<div style="text-align: justify;">
L'autonomia negoziale del soggetto privato si riduce sensibilmente ove l'interlocutore sia un Ente di diritto pubblico, considerato preliminarmente che nei rapporti fra privati l'ambito di operatività dell'autonomia negoziale risulta essere quello tracciato nell'art. 1322 c.c., con i limiti ad essa posti, in linea generale, dagli artt. 1343, 1344 e 1345 c.c.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'attività negoziale della Pubblica Amministrazione è espressione dell'autonomia privata di cui gode, considerato che essa ha piena facoltà di realizzare un fine pubblico anche mediante l'attività contrattuale ordinaria. In tal caso essa agisce iure privatorum, spogliandosi della sua veste autoritativa e ponendosi sullo stesso piano di un soggetto privato, per cui la disciplina dei contratti posti in essere non differisce rispetto agli schemi negoziali utilizzati da qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento giuridico. Occorre, tuttavia, tenere presente che la valutazione discrezionale operata dall'amministrazione di ricorrere allo strumento contrattuale privato, poiché ritenuto più adatto per raggiungere i fini che la stessa si propone, è pur sempre funzionale al perseguimento dell'interesse pubblico, per cui nella fase preordinata alla stipulazione del contratto, la formazione della volontà della P.A. sarà comunque caratterizzata dall'emanazione di una serie di atti qualificati come amministrativi e, dunque, dominati dal diritto pubblico (c.d. "procedura di evidenza pubblica"). </div>
<div style="text-align: justify;">
Sono proprio questi atti amministrativi preparativi e propedeutici al contratto a determinare l'ambito dell'autonomia negoziale dei privati, perché se da un lato consentono la facoltà di stipulare contratti di diritto privato dall'altro ne determinano anteriormente il contenuto. In estrema sintesi l'atto deliberativo che autorizza la gara o, se consentito, l'affidamento diretto contiene sin dall'inizio le condizioni contrattuali che potranno solo essere accettate e non discusse dal fornitore.</div>
<div style="text-align: justify;">
In linea generale deve dunque negarsi la possibilità di inserire nei contratti le clausole in questione, occorre però sottolineare che la normativa vigente prevede alcune ipotesi in cui la durata del contratto può essere rivista ma ciò avviene unicamente nei casi espressamente previsti dalla legge. Prima di elencare tali casi specifici dobbiamo tassativamente operare il distinguo fra “rinnovo” e “proroga”.</div>
<div style="text-align: justify;">
Sull'argomento degna di nota appare una recente sentenza del Consiglio di Stato, la cui Sezione V ha affermato che in tema <i>“di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica. Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario”</i> (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2013 n. 4192).</div>
<div style="text-align: justify;">
La “proroga”, dunque, incide esclusivamente sulla durata di un rapporto contrattuale, mentre il “rinnovo” dà vita ad un nuovo rapporto tra le parti, che sostituisce quello precedente confermando le stesse parti contraenti, esso può essere espresso o tacito, a seconda che dipenda o meno da un’esplicita manifestazione di volontà delle parti. Nel nostro ordinamento il “rinnovo tacito” non risulta ammissibile e comporta la nullità del contratto mentre il “rinnovo espresso” e la “proroga”, alla luce dell’attuale normativa nazionale e comunitaria, sono consentiti nei soli casi previsti dalla legge, che di seguito andremo ad elencare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Ipotesi di proroga e rinnovo previste nel nuovo Codice degli appalti.</b></div>
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Il 19/04/2016, in attuazione delle direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE, è entrato in vigore il “Nuovo Codice degli Appalti e delle Concessioni”, il quale fornisce disposizioni sulle fattispecie della “proroga” e del “rinnovo”. </div>
<div style="text-align: justify;">
<b>1.1 rinnovo</b></div>
<div style="text-align: justify;">
Più specificatamente, il V comma dell’articolo 63 del Codice degli appalti (titolato “Uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara”), regolamenta in modo espresso la possibilità di ripetere lavori o servizi analoghi già affidati all’operatore economico, <i>“a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo una procedura di cui all'art. 59” </i>(aperta, ristretta, procedura competitiva con negoziazione o dialogo competitivo). Il comma in esame aggiunge poi che <i>“il progetto a base di gara indica l’entità di eventuali lavori o servizi complementari e le condizioni alle quali essi verranno aggiudicati. La possibilità di avvalersi della procedura prevista dal presente articolo è indicata sin dall’avvio del confronto competitivo nella prima operazione e l’importo totale previsto per la prosecuzione dei lavori o della prestazione dei servizi è computato per la determinazione del valore globale dell’appalto, ai fini dell’applicazione delle soglie di cui all’articolo 35, comma 1. Il ricorso a questa procedura è limitato al triennio successivo alla stipulazione del contratto dell'appalto iniziale”</i>. </div>
<div style="text-align: justify;">
Siamo in presenza di una forma di rinnovo del contratto il cui contenuto, anche economico, deve necessariamente essere previsto sin dal momento del bando di gara sia per quanto riguarda il valore iniziale dell'appalto sia per quanto riguarda il valore dell’eventuale ripetizione dei servizi. Il “rinnovo” in questione ha poi un limite temporale ben preciso, in quanto non può andare oltre i tre anni successivi al contratto iniziale.</div>
<div style="text-align: justify;">
<b>1.2 rinnovo</b></div>
<div style="text-align: justify;">
A sua volta il successivo art. 106 del Codice degli appalti (titolato “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”) al comma 2° prevede la possibilità che all'aggiudicatario iniziale succeda<i> “per causa di morte o per contratto, anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabilita inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del presente codice”.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
Anche in questo caso siano in presenza di una forma di “rinnovo” conseguente alle mutate condizioni soggettive dell'appaltatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<b>2. proroga</b></div>
<div style="text-align: justify;">
Il successivo comma 11° dell'art. 106 del codice degli appalti dispone, invece, che <i>“la durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all'esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli alla stazione appaltante”</i>. </div>
<div style="text-align: justify;">
Quella appena descritta è l'unica forma di “proroga” prevista dalla legge, la quale deve sempre essere contenuta nel bando iniziale di gara e giammai può influire sul prezzo stabilito nel contratto.</div>
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Infine, con riferimento ad eventuali mutamenti del prezzo del contratto, il comma 12° sempre dell'art. 106 del Codice degli appalti, ne stabilisce l'immutabilità “qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo” nonché la facoltà della stazione appaltante di imporre all'appaltatore l'esecuzione alle identiche condizioni previste nel contratto originario, senza che ciò consenta il diritto alla risoluzione del contratto.</div>
<div style="text-align: justify;">
Al di fuori delle ipotesi suddette non pare vi sia possibilità alcuna di proroga, rinnovo e contestuale rinegoziazione dell'originario contratto di appalto, anche perché, eventuali procedure non previste sarebbero ostative al rilascio del Codice CIG. </div>
<div style="text-align: justify;">
Per completezza di esposizione vi è da evidenziare che le norme del nuovo codice appena richiamate si applicano esclusivamente ai contratti sopra la soglia di rilevanza comunitaria individuata nell'art. 35 del codice stesso mentre per quelli sotto tale soglia, in teoria, si potrebbe dar corso ad un approccio negoziale che lascia un margine più ampio all'autonomia del soggetto privato. Si tratta, tuttavia, di un ipotesi remota e di scarsa applicazione pratica poiché la Pubblica Amministrazione, anche quando agisce sotto soglia, è tenuta comunque a rispettare i principi di economicità, concorrenza, correttezza e speditezza fissati nell'art. 30 del codice e, in ogni caso, giunge a detta forma contrattuale sempre a seguito di un procedimento amministrativo che fissa ab initio ed inderogabilmente i contenuti essenziali dello stipulando contratto, quali, come detto, potranno solo essere accettati dal fornitore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-42551248218997289152016-05-03T14:45:00.002-07:002016-05-03T14:46:17.667-07:00Strisce blu tagliando non visibile multa non valida.<div style="text-align: justify;">
La Cassazione, confermando quanto deciso dal Giudice di Pace in primo grado e dal Tribunale in appello, ha stabilito che il possesso del tagliando di parcheggio, pur se non esibito adeguatamente all'interno della vettura in sosta, legittima la contestazione della violazione ma, nel contempo, non giustifica la soccombenza del Comune convenuto, atteso che non appare censurabile il comportamento del vigile che ha elevato la multa.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cass. Civ., Sez. VI, 27/04/2016, n. 8282</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-30269304656414192122016-03-08T07:14:00.001-08:002016-03-08T07:36:09.951-08:00Requisiti soggettivi per essere ammessi alla procedura di crisi da sovraindebitamento.<div style="text-align: justify;">
La Cassazione ha fissato i criteri per l'individuazione del "consumatore" ossia del soggetto ammesso a beneficiare della procedura prevista dalla Legge n. 3/2012.</div>
<div style="text-align: justify;">
La suprema Corte ha, infatti, affermato che <i>"in tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di consumatore abilitato al piano ai sensi della citata legge non si riferisce necessariamente ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni di impresa o professionali, sia pregresse che attuali, essendo richiesto soltanto che dette relazioni non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, atteso che nello stato di insolvenza finale del consumatore non possono comparire obbligazioni assunte per scopi relativi alle predette attività di impresa o professionali. Pertanto, è consumatore ai sensi della legge succitata soltanto il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo della medesima legge."</i></div>
<div style="text-align: justify;">
Gli Ermellini hanno puntualizzato che, per poter usufruire della procedura in oggetto, il debitore può anche aver rivestito in passato la qualità di imprenditore ciò che rileva è che non residuano posizioni debitorie legata ai passati rapporti aventi natura imprenditoriale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ciò è dovuto al fatto che, rispetto alla precedente disciplina dettata dall'art. 1, 2° comma lett. b), del D.L. n. 212/2011 ove si parlava espressamente di "sovraindebitamento del consumatore", la rivisitazione dell'istituto conseguente alla Legge n. 3/2012 ha escluso ogni riferimento al "consumatore".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cass. Civ., Sez. I, 01/02/2016 n. 1869</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-51492272735752091662016-03-01T07:00:00.001-08:002016-03-08T07:36:45.350-08:00Responsabilità professionale medica evitabilità intervento rischioso.<div style="text-align: justify;">
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha recentemente dichiarato un chirurgo responsabile della morte di una paziente, conseguita al termine di un intervento di rimozione di ernia ombelicale, eseguito nonostante le condizioni cliniche della vittima lo sconsigliassero ed anzi lo rendessero altamente rischioso. La condotta del sanitario, nella circostanza, è stata ritenuta ulteriormente imprudente in quanto l'ospedale ove questi operava era privo del reparto di rianimazione: motivazioni, queste, giudicate idonee e sufficienti a radicare un giudizio di responsabilità civile a carico del medico.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel caso in questione, la responsabilità del chirurgo che aveva eseguito l'intervento letale, è stata riscontrata sulla scorta di una delle consulenze tecniche d'ufficio, quella ritenuta più affidabile fra le varie svolte, nella quale l'ausiliario del giudice deduceva che:</div>
<div style="text-align: justify;">
a) l'imprudenza del sanitario consisteva nell'aver deciso di eseguire l'intervento nonostante le condizioni cliniche della paziente non solo lo sconsigliassero, ma anzi lo rendessero altamente rischioso;</div>
<div style="text-align: justify;">
b) l'intervento chirurgico in questione era "assolutamente privo del carattere di urgenza", e le sue conseguenze "prevedibili ex ante";</div>
<div style="text-align: justify;">
c) l'ospedale ove l'operazione venne eseguita era priva del reparto di rianimazione.</div>
<div style="text-align: justify;">
In estrema sintesi, secondo i Giudici di legittimità la colpa del chirurgo deve ravvisarsi nell'aver eseguito un intervento rischioso che poteva essere evitato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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Cass. Civ., Sez. III, 18/02/2016 n. 3173</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-69536342927604188202016-02-29T08:48:00.001-08:002016-03-08T07:37:24.456-08:00Equitalia illegittimità ipoteca iscritta senza termine difensivo preventivo.<div style="text-align: justify;">
La Corte di Cassazione ha stabilito che Equitalia è tenuta, prima di procedere all'iscrizione di ipoteca ai danni del contribuente, a concedere un termine preventivo di almeno trenta giorni affinché lo stesso possa far valere in contraddittorio le proprie ragioni; ove detto termine non venga rispettato, l'ipoteca così trascritta deve ritenersi illegittima e, come tale, può essere cancellata.</div>
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I Giudici di Piazza Cavour, sul punto, hanno sostenuto che l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 del D.P.R. n. 602/1973 non costituisce atto dell'espropriazione forzata bensì procedura ad essa alternativa; ne consegue che, come già affermato dalle Sezioni Unite, l'amministrazione finanziaria deve preventivamente comunicare al contribuente il suo intento di procedere all'iscrizione di ipoteca al fine di permettergli di presentare osservazioni o adempiere, in difetto si concretizza la violazione del diritto alla partecipazione del procedimento da parte dell'interessato, diritto tutelato dalla nostra normativa e da quella comunitaria.</div>
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L'ipoteca, pertanto, può essere cancellata ogniqualvolta il giudice accerti il mancato rispetto da parte di Equitalia di tutte le garanzie che l'ordinamento prevede a favore del contribuente.</div>
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Cassazione 26/02/2016 n. 3783</div>
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Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-17219738877145620622016-01-27T23:50:00.002-08:002016-01-27T23:51:33.877-08:00Danno da vacanza rovinata configurazione prova e liquidazione.<div style="text-align: justify;">
L'argomento in questione sta trovando sempre maggiore spazio nelle aule dei Tribunali, sono, infatti, in costante aumento coloro che si rivolgono ai giudici dopo una vacanza; in questo post si riportano alcune decisioni recenti che ben inquadrano la materia.</div>
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Il Tribunale di Napoli (Tribunale Napoli, Sez. XII, 18/02/2013, n. 2195; nella specie, a fronte di un costo del pacchetto turistico pari ad € 1.950,00 è stato riconosciuto in via equitativa un danno di € 1.300,00), chiamato a pronunciarsi su di una fattispecie in cui il consumatore aveva usufruito di una sistemazione di livello inferiore rispetto a quella pattuita, ha affermato che <i>"Il contratto di viaggio tutto compreso (pacchetto turistico o package) è diretto a realizzare l'interesse del turista-consumatore al compimento di un viaggio con finalità turistica o a scopo di piacere, sicché tutte le attività e i servizi strumentali alla realizzazione dello scopo vacanziero sono essenziali. In particolare, pertanto, la circostanza che il turista-consumatore venga alloggiato, per una parte del periodo di soggiorno in una struttura alberghiera di livello qualitativo inferiore rispetto a quella prenotata all'atto dell'acquisto diminuisce in misura apprezzabile l'utilità che può trarsi dal soggiorno nella località turistica, dando luogo alla fattispecie della vacanza rovinata”. </i></div>
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Con riferimento, poi, alla prova, il danno in conseguenza dell'inadempimento risulta in re ipsa come riconosciuto dal il Tribunale di Milano (Tribunale Milano, Sez. XI, 15/05/2014, n. 5036; conforme Tribunale Arezzo 30/01/2014 n. 110), secondo il quale <i>"in tema di danno non patrimoniale 'da vacanza rovinata', inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell'inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell'attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della 'finalità turistica' (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero"</i>. </div>
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Tale decisione, invero, è conforme a quanto già indicato in precedenza dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. III, 11/05/2012, n. 7256), laddove ha sostenuto che <i>“la prova del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata”, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero”</i>.</div>
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In ordine, altresì, alla commisurazione del pregiudizio sofferto, <i>"la liquidazione equitativa dei danni, ai sensi dell'art. 1226 c.c., è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, non soltanto quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile, ma anche qualora la stessa si presenti particolarmente difficoltosa in relazione alla peculiarità del caso concreto” </i>(Tribunale Como, Sez. I, 18/07/2014, n. 1304).</div>
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Con l'introduzione del Codice del Turismo l'unicità e l'irripetibilità di ogni singola occasione di viaggio divengono esigenze meritevoli di tutela ed allora ben si comprende la posizione assunta dal Tribunale di Reggio Emilia (Tribunale Reggio Emilia, 23/02/2013, n. 279), impegnato a dirimere una controversia conseguente a problematiche sorte, come nella fattispecie, nel corso di un viaggio di nozze, laddove ha ritenuto che <i>“è risarcibile, in virtù del combinato disposto dagli art. 2059 c.c. e art. 32 Cost., il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, integrato dal pregiudizio conseguente alla lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, tanto più grave ove si tratti di viaggio di nozze e come tale di occasione irripetibile; ed il turista-consumatore ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da parte dell’organizzatore o del venditore, anche se la responsabilità sia ascrivibile ad altri prestatori di servizi”</i>.</div>
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In linea generale, si può dunque affermare che, nel caso in cui uno dei servizi che contrattualmente il tour operator si era impegnato a prestare manchi in tutto o in parte ovvero venga eseguito con modalità diverse rispetto a quanto previsto nell’offerta e/o nel contratto, l’organizzatore è tenuto a risponderne. </div>
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Allo stesso modo, atteso che la Cassazione nella sentenza n. 1033 del 17/01/2013 ha addirittura ravvisato sussistere il danno da vacanza rovinata anche nel caso in cui le foto contenute nel depliant non siano conformi alla realtà, l'inadempimento e/o inesatta esecuzione delle prestazioni oggetto di contratto sono ravvisabili ogniqualvolta la vacanza non corrisponda alle aspettative del turista, ingenerate non solo dai depliant pubblicitari e dagli opuscoli informativi, ma anche dallo stesso contratto. </div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-47950412735957016842016-01-11T04:51:00.000-08:002016-01-13T23:43:38.917-08:00Sinistro stradale superamento presunzione concorso di colpa e risarcimento in forma specifica.<div style="text-align: justify;">
La Terza Sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che il conducente coinvolto in un sinistro stradale, per potersi liberare dalla presunzione di concorso di colpa, è tenuto a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.</div>
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I Giudici di legittimità hanno fissato il principio secondo il quale, anche laddove dal materiale probatorio acquisito al processo emerga la condotta colposa di uno solo dei conducenti, affinché possa attribuirsi ad esso la responsabilità esclusiva dell'evento gli altri soggetti coinvolti nell'incidente rimangono comunque tenuti a provare di<i> "aver fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, ed in particolare di aver tenuto una velocità moderata"</i>.</div>
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Sempre nella decisione in esame i Giudici di Piazza Cavour hanno, altresì, precisato che la domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale deve considerarsi come risarcimento in forma specifica; pertanto, ai sensi dell'art. 2058 c.c., rientra nelle facoltà del Giudice quella di non accogliere la domanda così formulata e di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente, ossia alla corresponsione di una somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo.</div>
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Cass. Civ., Sez. III, 08/01/2016 n. 124</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-58052750687613778552015-12-15T04:22:00.002-08:002016-01-20T02:36:05.206-08:00Composizione crisi sovraindebitamento omologazione in difetto di approvazione del creditore.<div style="text-align: justify;">
Il D.L. 22/12/2011 n. 212, successivamente novellato dalla legge 27/01/2012, n. 3, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del sovraindebitamento, che si applica all'insolvente civile rispetto al quale, stante il difetto della qualifica di imprenditore, non possono trovar applicazione le procedure concorsuali. </div>
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Occorre preliminarmente, ai sensi degli artt. 11 e 12 della citata legge, far predisporre il piano del consumatore dall'organismo di composizione della crisi, una volta predisposto detto piano viene trasmesso al giudice che, in caso di omologa, ne dispone l'immediata pubblicazione. Per potersi omologare l'accordo deve prevedere il rispetto della percentuale fissata nell'articolo 11, comma 2, e, nel contempo, assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo.</div>
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La sentenza in esame si dimostra interessante poiché resa in caso di mancata adesione di uno dei creditori ed in presenza di contestazioni circa la convenienza dell'accordo.</div>
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Il Tribunale di Napoli ha chiarito che <i>"deve essere omologato il piano del consumatore di cui alla legge n. 3/2012 per la composizione della crisi da sovraindebitamento, che porta al dimezzamento del debito costituito dal mutuo ipotecario nei confronti della banca, dovendosi ritenere che detto piano, pur prevedendo il pagamento in misura parziale del creditore ipotecario stante la stima del valore commerciale del bene immobile, e il pagamento nella misura integrale del credito chirografo (ad esclusione degli interessi), assicura per essi una percentuale di soddisfazione presumibilmente non inferiore a quella che otterrebbero in caso di liquidazione, dovendosi osservare che la valutazione sulla convenienza deve far riferimento anche ai costi delle procedure esecutive individuali, funzionali alla liquidazione coattiva del bene ed ai tempi processuali non brevi oltre all’incognita di realizzazione rimessa all’esito della vendita nelle previste forme giudiziali e ricordare che per legge il piano non è sottoposto ad alcuna votazione e quindi non necessita di alcuna approvazione da parte dei creditori"</i>.</div>
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Tribunale di Napoli, Volontaria Giurisdizione, sentenza del 28/10/2015</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-13558892883050015302015-12-11T14:46:00.000-08:002015-12-11T14:46:38.065-08:00Applicabilità dell'IRAP ai professionisti.<div style="text-align: justify;">
In tema di IRAP la Corte di Cassazione, inserendosi nel solco già tracciato dai Giudici della Consulta, ha più volte affermato che, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1°, e 3, comma 1°, lett. c), del D.Leg.vo 15 dicembre 1996, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1°, e all’art. 53, comma 1°, del medesimo D.P.R., è escluso dall’applicazione dell’imposta in questione ogniqualvolta si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) usufruisca in modo non occasionale di dipendenti e/o di collaboratori esterni; b) impieghi beni strumentali di rilevante valore ossia che eccedano, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione.</div>
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I presupposti, dunque, che giustificano l’imposizione dell’IRAP nei confronti di un libero professionista, sono, in sintesi, costituiti dal possesso di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio della professione o dall'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui; al di fuori di queste ipotesi l’imposta in questione non trova mai ragione d’essere e la sua debenza non può essere giustificata e deve considerarsi illegittima. </div>
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A nulla rileva, poi, che l'attività libero professionale sia contraddistinta dalla continuità. Invero, mentre l'elemento organizzativo è fisiologico alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché connaturata dal carattere della abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa.</div>
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Secondo la Corte Costituzionale, pertanto, si può benissimo configurare un esercizio "non organizzato" dell'attività professionale, il quale, per ciò stesso, è da ritenersi al di fuori del campo di applicazione dell'imposta.</div>
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La Cassazione ha elaborato una gran mole di lavoro circa la esatta definizione del requisito dell'autonoma organizzazione; ci si riferisce, in particolar modo, alla serie di sentenze depositate in data 16/02/2007 e contraddistinte dal n. 3672 al n. 3682, in data 05/03/2007 con numeri compresi tra 5009 al 5015, in data 19/03/2007 recanti numeri dal 6500 al 6505, in data 30/03/2007 con numeri dal 7891 al 7899 e, infine, in data 02/04/2007 e contraddistinte dai numeri che vanno dal 8166 sino all'8177, che hanno rappresentato, e rappresentano tutt'ora, il perno interpretativo della materia che ci occupa ed il punto di partenza per le decisioni posteriori chiamate ad intervenire sullo stesso argomento. In esse si delinea un indirizzo interpretativo secondo il quale, fermi restando i due principi cardine sopra richiamati (impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività ed impiego in maniera non occasionale di dipendenti o collaboratori ) si ha esercizio di "attività autonomamente organizzata" soggetta ad Irap ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 quando l'attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad una struttura che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Non risulta, invece, di ostacolo alla sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'Irap il fatto che l'apporto del titolare sia insostituibile in quanto consistente in un'attività riservata agli iscritti ad un albo. Ciò perchè possono benissimo ipotizzarsi autonome fasi di lavorazione (organizzazione logistica, competenze interne, distribuzione del lavoro, ricerche, relazioni preparatorie, stime preventive, eccetera) che confluiscono poi nella sintesi del prodotto finale elaborato dal professionista, cosa che configura così la debenza dell'imposta. Sempre secondo l'orientamento delineato dalle sentenze sopra richiamate, con l'espressione contenuta nella norma "pertanto sono soggetti" ad Irap "le persone fisiche esercenti arti e professioni", il legislatore non ha inteso indicare una consequenzialità necessaria, ma solo definire la platea dei soggetti che possono (e non che devono necessariamente) essere soggetti ad imposta. Ciò in quanto l'autonoma organizzazione costituisce presupposto oggettivo imprescindibile (diverso dal presupposto dalla produzione di reddito) che attribuisce all'imposta una natura reale. Concludono esse decisioni respingendo la tesi dell'Agenzia delle Entrate secondo cui il legislatore avrebbe istituito una sorta di presunzione di esistenza del presupposto impositivo. La netta contrapposizione rispetto alle posizioni sulle quali si era arroccata l'Agenzia delle Entrate emerge, altresì, in modo netto anche nella sentenza n. 5010 del 05/03/2007, nella quale si legge che non appare condivisibile la tesi prospettata dall'Avvocatura Erariale secondo cui le due parole aggiunte (autonoma organizzazione) avrebbero solo lo scopo di rendere più chiaro il motivo dell'esclusione dai soggetti passivi dei co.co.co.. Detta sentenza, poi, richiama apertamente il contenuto della famosa “relazione Gallo”, ripresa nella relazione ministeriale di accompagnamento al decreto delegato n. 446/1997, la quale afferma che “l'organizzazione si risolve per il suo titolare in disponibilità di beni ed in prestazioni economicamente valutabili corrispondenti alla potenzialià produttiva dell'organizzazione stessa” e giunge a concludere che “si ha esercizio di attività soggetta ad Irap ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 quando l’attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Di guisa che l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale , simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esplicitamente esclusi dall’applicazione dell’Irap (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti)”</div>
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Si può, dunque, affermare senza tema di smentita che non è sufficiente, ai fini dell'imposizione IRAP, quella sorta di mera auto organizzazione, che, secondo l'Avvocatura erariale, sarebbe propria anche delle attività abituali che danno luogo all’applicazione dell’IVA.</div>
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Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-59902636808533927832015-11-19T09:42:00.000-08:002015-11-19T09:42:09.792-08:00Caduta alunno in aula responsabilità insegnante.<div style="text-align: justify;">
Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha espresso il principio secondo il quale l'insegnante, per superare la presunzione di responsabilità che ex art. 2048 c.c. posta a suo carico, è tenuto a dimostrare di aver adottato preventivamente tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi della serie causale che ha condotto all'evento lesivo e che, nonostante ciò, il fatto dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità, ha impedito un tempestivo ed efficace intervento. </div>
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Pertanto, laddove l'insegnante non riesce a fornire la prova suddetta, il Ministero è chiamato a risarcire l'alunno. </div>
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Nel caso in questione, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto sussistere la responsabilità dell'insegnante poiché questa si era assentata senza affidare la custodia della classe a bidelli o ad altri soggetti in sua sostituzione ed in quanto l'incidente occorso all'alunno, caduto perché una compagna di classe gli aveva sfilatola sedia, deve essere considerato quale evento prevedibile.</div>
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La pronuncia è stata motivata come segue.</div>
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<i>"Occorre muovere dalla considerazione che presupposto della responsabilità dell’insegnante per il danno subito dall’allievo, nonché fondamento del dovere di vigilanza sul medesimo, è la circostanza che costui gli sia stato affidato, sicché chi agisce per ottenere il risarcimento deve dimostrare che l’èvento dannoso si è verificato nel tempo in cui l’alunno era sottoposto alla sorveglianza del docente, restando indifferente che venga invocata la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie (cfr. Cass. civ. 16 febbraio 2015, n. 3081; Cass. civ. 10 ottobre 2008, n. 24997). A ciò aggiungasi, con particolare riguardo alla prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 cod. civ., che la giurisprudenza di questa Corte considera, sì, dirimente la dimostrazione, da parte dell’insegnante, dell’esercizio della vigilanza nella misura dovuta nonché della imprevedibilità e repentinità in concreto dell’azione dannosa, ma costantemente avverte che, ove manchino le più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina tra gli allievi, non si può neppure invocare l’imprevedibilità del fatto. Ne deriva che questa ha portata liberatoria solo nell’ipotesi in cui non sia stato possibile evitare l’evento nonostante l’approntamento di un sistema di vigilanza adeguato alle circostanze (cfr. Cass. civ. 22 aprile 2009, n. 9542; Cass. civ. 18 aprile 2001, n. 5668; Cass. civ. 21 agosto 1997, n. 7821; Cass. civ. 24 febbraio 1997, n. 1683; Cass. civ. 22 gennaio 1990, n. 318). 3 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale si è segnatamente occupata della dinamica dell’incidente ritenendo, da un lato, indimostrato che la caduta di S. M. fosse stata determinata dalla sottrazione, ad opera di D.M., della sedia sulla quale stava per sedersi (come sostenuto dagli attori), piuttosto che dalla contesa della medesima sedia tra lui e la compagna (come dedotto dai convenuti); e qualificando, dall’altro, in termini di imprevedibilità e repentinità l’iniziativa in tesi assunta dall’allieva, avvenuta in un’aula ove era comunque presente il bidello. Proprio quest’ultima notazione disvela tuttavia l’insufficienza dell’approccio del giudice di merito con le problematiche sottese al superamento della presunzione della responsabilità del precettore, avendo il decidente sostanzialmente ignorato l’assoluta centralità dell’assolvimento, da parte dello stesso, dell’obbligo di vigilanza nella misura dovuta. Non può invero sfuggire che, per poter ritenere raggiunta la prova liberatoria nei termini imposti dall’art. 2048 cod. civ., era necessario indagare sulle condizioni dell’affidamento dei discenti, impegnati peraltro in un’attività extracurricolare, alla sorveglianza dell’ausiliario, a partire dalla eventuale adibizione di questi anche ad altre incombenze. La mancanza di una adeguata verifica in ordine all’approntamento, in via preventiva, di cautele idonee, secondo una valutazione ex ante, a scongiurare situazioni di pericolo, vulnera in maniera irredimibile la scelta decisoria adottata, tanto più che, a ben vedere, la caduta conseguente alla contesa di una sedia tra due ragazzini è accadimento la cui qualificazione in termini di repentinità, imprevedibilità ed evitabilità non appare del tutto scontata. Ne deriva che, ragionando secondo gli schemi delineati negli interventi nomofilattici del giudice di legittimità, la negativa valutazione in ordine alla dinamica dell’incidente posta a base della pretesa azionata potrebbe risultare sostanzialmente neutra ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’insegnante al quale gli allievi erano stati affidati"</i>.</div>
Cass. Civ., Sez. III, 13/11/2015, n. 23202<br />
<br />Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-61843695009964170982015-11-18T11:09:00.001-08:002016-01-13T23:45:50.930-08:00Responsabilità professionale avvocato.<div style="text-align: justify;">
Le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono pacificamente considerate, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, obbligazioni di mezzi e non di risultato; in buona sostanza il professionista, nel momento in cui assume l'incarico, si obbliga a prestare la propria opera in vista del raggiungimento di un determinato risultato senza accollarsi, invece, alcun obbligo in ordine al conseguimento del medesimo.</div>
<div style="text-align: justify;">
La natura dell’obbligazione, come appena descritta, si ripercuote inevitabilmente sui criteri alla stregua dei quali dovrà essere valutato l’eventuale inadempimento; il professionista, infatti, è tenuto a rispondere non già per il mancato raggiungimento del risultato sperato dal creditore, bensì solo nel caso cui abbia violato i doveri inerenti allo svolgimento della propria attività professionale, ed in particolare quel dovere di diligenza media che il secondo comma dell’art. 1176 c.c. gli impone.</div>
<div style="text-align: justify;">
Con specifico riferimento alla responsabilità professionale dell’avvocato, la consolidata giurisprudenza della Cassazione (ex multis Cass. Civ., 9 giugno 2004, n. 10966; Cass. Civ., 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. Civ., sentenza 26 aprile 2010, n. 9917; Cass. Civ., sentenza 5 febbraio 2013, n. 2638) ha precisato che il riconoscimento della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Il cliente che lamenta l’inadempimento, e nel contempo invoca il risarcimento, è tenuto, quindi, a provare in termini probabilistici che senza la negligenza e/o l'imperizia del legale, il risultato voluto sarebbe stato conseguito (in tal senso si esprime anche Cass. Civ., sentenza 10 dicembre 2012, n. 22376).</div>
<div style="text-align: justify;">
Tale orientamento è stato recentemente confermato dai Giudici di legittimità, secondo i quali <i>“la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici</i>” (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 13/02/2014 n. 3355).</div>
<div style="text-align: justify;">
In ordine alla responsabilità del professionista, poi, la Corte nella sentenza appena menzionata, oltre a richiamare il proprio consolidato orientamento in materia precisa che<span style="background-color: #eeeeee;"> </span><i>“nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico”</i></div>
<div style="text-align: justify;">
Grava quindi sul cliente che lamenti l’inadempimento da parte del professionista alla propria obbligazione, l'onere di fornire la prova, supportata da idonei dati obiettivi, in base alla quale il Giudice è chiamato a valutare se, in relazione alla natura del caso concreto, l'attività svolta dal professionista possa essere giudicata sufficiente o meno (Cass. Civ., sentenza 18 aprile 2007, n. 9238). Egli, pertanto, sarà tenuto a provare non solo di aver subito un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla negligente prestazione professionale (Cass. Civ., sentenza 27 maggio 2009, n. 12354).</div>
<div style="text-align: justify;">
Ne deriva così una forma di responsabilità che sfugge, in parte, alle normali regole della responsabilità contrattuale, per far valere la quale il creditore può limitarsi alla prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, allegando l’inadempimento della controparte; sarà poi il debitore convenuto a dover fornire la prova dall'avvenuto adempimento o comunque di un fatto estintivo del diritto fatto valere in giudizio. Nel caso di responsabilità professionale, per il creditore non è sufficiente allegare un generico inadempimento, fonte di danno, occorre, altresì, che lo stesso fornisca la prova del nesso causale tra il danno e l’inadeguatezza della condotta professionale del prestatore d’opera intellettuale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Tale peculiarità è conseguenza proprio della natura stessa della prestazione professionale che, come detto, è prestazione di mezzi e non di risultato.</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-12514801806203451532015-11-17T14:17:00.002-08:002015-11-17T14:17:17.629-08:00Agevolazioni fiscali prima casa immobile di lusso superficie.<div style="text-align: justify;">
La Corte di Cassazione con una recente sentenza dello scorso 7 ottobre ha ribadito il proprio orientamento consolidato in tema di requisiti per poter usufruire delle agevolazioni prima casa.</div>
<div style="text-align: justify;">
Hanno, infatti, sostenuto i Giudici di legittimità che <i>"in materia di imposta di registro, ipotecarie o catastali, per stabilire se un'abitazione sia di lusso e, quindi non possa essere ammessa a godere dei benefici previsti per l'acquisto della prima casa, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, la sua superficie utile, che deve essere complessivamente superiore a 240 mq, va calcolata secondo quanto previsto dal D.M. Lavori Pubblici n. 1072 del 1969, e dunque determinata in base a quella che, dall'estensione globale riportata nell'atto di acquisto sottoposto all'imposta, residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina"</i>.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nello specifico, il superamento del limite dei 240 mq comporto la perdita delle agevolazioni in questione; ai fini del computo, tuttavia, non devono essere considerati i vani accessori, come quelli riportati nella massima.</div>
<div style="text-align: justify;">
Cass. Civ., Sez. V, 07/10/2015 n. 20031.</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-73284402966736811092015-11-05T07:06:00.001-08:002015-11-05T07:06:20.951-08:00Il professionista può legittimamente erogare prestazioni a parenti ed amici a titolo gratuito. <div style="text-align: justify;">
La Cassazione, con la sentenza n. 21972 depositata il 28 ottobre 2015, ha stabilito che il contribuente è legittimato a prestare servizi professionali a titolo gratuito ad amici e parenti, senza che il fisco possa inventare compensi e redditi mai percepiti.</div>
<div style="text-align: justify;">
Gli ermellini hanno rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, la quale aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva ritenuto illegittimo l'accertamento nei confronti di un consulente fiscale che non aveva emesso fatture a 72 clienti, a favore dei quali aveva reso prestazioni a titolo gratuito stante i rapporti di parentela od amicizia tra loro. </div>
<div style="text-align: justify;">
L'Agenzia delle Entrate, sul presupposto che fosse impossibile effettuare prestazioni senza ricevere compenso alcuno, aveva vinto in primo grado, per poi veder la decisione ribaltata dalla CTR, sul presupposto che, a fronte della corretta contabilità tenuta dal contribuente, lo stesso, limitatosi unicamente all'invio telematico di persone fisiche socie di società sue clienti, ben poteva svolgere simile attività ai fini dell'incremento della clientela.</div>
<div style="text-align: justify;">
La Cassazione ha confermato la pronuncia di secondo grado, ritenendo possibile "in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell'elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti "non paganti") e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l'attività svolta in loro favore riguardava soltanto l'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata all'incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l'assunto del contribuente circa la sua gratuità.</div>
<div style="text-align: justify;">
Corte di Cassazione sentenza 28/10/2015 n. 21972</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-77152737258894087212015-10-30T02:31:00.002-07:002015-10-30T02:31:40.481-07:00Scioglimento comunione assegnazione ed attribuzione quote.<div style="text-align: justify;">
L'orientamento ormai consolidatosi della giurisprudenza sull'art. 729 c.c., non dà al criterio dell'estrazione a sorte carattere assoluto bensì soltanto tendenziale e, come tale, può essere agevolmente superato quando vi siano ragioni che lo richiedano.</div>
<div style="text-align: justify;">
La Suprema Corte ha, invero, affermato che<i> “in tema di scioglimento della comunione relativa ad un immobile comodamente divisibile, il giudice di merito gode di un'ampia discrezionalità nell'esercizio del potere di attribuzione delle porzioni ai condividenti, salvo l'obbligo di darne conto in motivazione; nell'esercizio di tale potere discrezionale, egli può considerare anche gli interessi individuali delle parti aventi ad oggetto beni estranei alla comunione - confrontandoli con gli altri interessi rilevanti nella specie - allo scopo di compiere la scelta più appropriata” </i>(Cassazione Civ., Sez. II, Sentenza 15/10/2010 n. 21319).</div>
<div style="text-align: justify;">
Il principio è stato poi ribadito da una successiva decisione in cui si ribadisce che <i>“il criterio dell'estrazione a sorte previsto dall'art. 729 cod. civ. nel caso di uguaglianza di quote a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo - applicabile anche nell'ipotesi di divisione dei beni comuni, in virtù del rinvio recettizio di cui all'art. 1116 cod. civ. - non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, quale risulterebbe dall'applicazione della regola del sorteggio, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione”</i> (Cass. Civ., Sez. II, sentenza 27/12/2012 n. 23930). </div>
<div style="text-align: justify;">
Ancor più recentemente tali argomenti sono stati rafforzati con l'assunto che <i>“il criterio dell'estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall'art. 729 c.c. a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, essendo pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del difetto di motivazione, ad esempio in presenza di documenti risalenti a tentativi di definizione bonaria della controversia” </i>(Cass. Civ., Sez. II, sentenza 13/03/2014 n. 5866) .</div>
<div style="text-align: justify;">
Sulla base dei principi appena enunciati, si può, quindi, sostenere senza tema di smentita che il principio posto dall'art. 729 c.c. non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è, pertanto, derogabile, in presenza di valide ragioni, in base a valutazioni prettamente discrezionali, insindacabili in sede di legittimità salvo che sotto il profilo dell'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. </div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-58983250827844272212015-10-29T05:33:00.003-07:002016-01-20T02:38:39.568-08:00Liquidazione dell'attivo nell'eredità beneficiata.<div style="text-align: justify;">
Al fine di soddisfare i diritti dei creditori ereditari e dei legatari, l'erede con beneficio d'inventario dispone di diverse alternative: la cosiddetta liquidazione individuale ovvero quella concorsuale ovvero il rilascio di tutti i beni ereditari.</div>
<div style="text-align: justify;">
Con riguardo alla prima, in realtà, la lettera della legge non utilizza l'espressione "liquidazione" e ciò perché in questa può mancare l'attività propria della liquidazione, intendendosi per essa la conversione dei beni in denaro per il pagamento; per tale motivo la dottrina preferisce parlare di una procedura di pagamenti individuali.</div>
<div style="text-align: justify;">
In mancanza di una particolare opzione da parte dell'erede o di un creditore ereditario o legatario, la legge prevede l'operare della procedura dei pagamenti individuali poiché quest'ultima procedura presenta dei vantaggi, in quanto comporta di norma minori spese rispetto alla liquidazione concorsuale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Tuttavia, per poter dare concreta esecuzione ai pagamenti individuali, l'art. 495 c.c. si richiede la presenza di alcuni presupposti. Il primo è di ordine temporale e consiste nel fatto che sia trascorso almeno un mese dall'adempimento delle formalità di pubblicità dell'accettazione beneficiata e dell'inventario di cui all'art. 484 c.c. La ratio è quella di lasciare un termine ai creditori ereditari e legatari per decidere se avvalersi o meno della diversa procedura di liquidazione concorsuale. Il secondo e terzo presupposto sono, invece, di ordine negativo e concernono la mancanza di una opposizione ai pagamenti individuali fatta dai creditori o legatari ovvero della scelta per la liquidazione concorsuale effettuata dallo stesso erede.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il passaggio è di estrema rilevanza e merita un'ulteriore riflessione.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'art. 495 c.c. disciplina la liquidazione individuale e prevede due condizioni essenziali per procedervi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Prima condizione (positiva temporale) è che l'erede beneficiato debba attendere il decorso del termine dilatorio previsto dall'art. 495 c.c., ossia il termine di un mese dall'annotazione sul registro delle successioni, a carico del cancelliere, dalla data in cui l'inventario è stato compiuto, ai sensi del disposto del 5° comma dell'articolo 484 c.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
Seconda condizione (negativa potestativa) della liquidazione individuale è che i creditori e legatari, nel termine anzidetto, non abbiano fatto opposizione, imponendo così all'erede beneficiato di procedere alla liquidazione concorsuale.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'erede beneficiato, qualora intenda valersi della liquidazione individuale, può, senza indugio, provvedere al pagamento dei creditori e dei legatari "a misura che si presentano, salvo i diritti di poziorità".</div>
<div style="text-align: justify;">
La liquidazione individuale, pertanto, secondo quanto prevede la norma non è improntata al principio della "par condicio creditorum", bensì al principio del "prior in tempore potior in iure", per cui ne deriva che l'erede può liberamente pagare, senza essere tenuto ad osservare altro ordine che non sia quello determinato dalla cronologia delle richieste di pagamento; né l'erede ha la possibilità e il potere di riservare somme per i creditori privilegiati che ancora non si siano presentati, ma di cui sia nota l'esistenza, poiché invece egli è tenuto a pagare integralmente i creditori, secondo l'ordine di presentazione, finché sussistano attività ereditarie, senza prendere in considerazione la natura del credito.</div>
<div style="text-align: justify;">
La liquidazione individuale è, dunque, improntata al principio della libertà dei pagamenti giacché l'erede può effettuarli senza l'osservanza di alcun criterio di collocazione del credito, salvo quello determinato dall'ordine di presentazione delle domande. La libertà che l'erede beneficiato ha di pagare liberamente i creditori e legatari, però, non è assoluta perché trova certamente un limite nei diritti di poziorità eventualmente vantati da alcuno dei creditori.</div>
<div style="text-align: justify;">
I diritti di poziorità sono quelli disciplinati dal legislatore nell'articolo 2741 c.c., definiti cause legittime di prelazione e sono: i privilegi, il pegno e l'ipoteca.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il rispetto di essi è subordinato al fatto che devono essere stati acquistati prima dell'apertura della successione. Ciò si desume direttamente dall'articolo 2830 c.c., a norma del quale l'erede non può costituire diritti di prelazione a favore dei creditori ereditari o legatari e i creditori da parte loro non possono iscrivere ipoteche giudiziali sui beni di eredità accettate con beneficio di inventario neppure in base a sentenze pronunciate anteriormente alla morte del debitore .</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-658834800546626062015-10-21T06:48:00.003-07:002016-01-20T02:37:33.801-08:00Responsabilità medico chirurgica.<div style="text-align: justify;">
La Cassazione è tornata ad occuparsi della responsabilità professionale medica, questa volta in relazione alla ottemperanza da parte della struttura della normativa vigente in tema di sicurezza, affermando che "in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’osservanza da parte di un nosocomio – pubblico o privato – delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza".</div>
<div style="text-align: justify;">
La pronuncia introduce, quindi, il principio secondo il quale la responsabilità in questione non può essere esclusa o limitata dalla presenza delle dotazioni previste ex lege, il cui utilizzo da parte dei sanitari non può prescindere dall'osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://drive.google.com/file/d/0B8A27r9dfTCWUjVSUmllcVJoWmc/view?usp=sharing" target="_blank">Cass. Civ., Sez. III, 19/10/2015 n. 21090</a></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-57194513372156835632015-10-15T09:56:00.000-07:002015-10-15T09:56:17.178-07:00Assicurazione sanitaria rimborso spese rimborso interventi extra elenco contrattuale.<div style="text-align: justify;">
In una recente sentenza del 20/08/2015, la n. 17020, i Giudici di Piazza Cavour hanno riconosciuto la possibilità di ottenere l'indennizzo di interventi sanitari anche al di fuori dell’elenco contrattuale, condannando una prestigiosa compagnia assicurativa al pagamento del relativo indennizzo.</div>
<div style="text-align: justify;">
La massima precisa che "in materia di interpretazione del contratto, viola i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363, 1369 e 1370 cod. civ., l’interpretazione della clausola di un contratto di assicurazione sanitaria che pretenda di individuare gli interventi rimborsabili (nella specie, di resezione, incannulazione antiblastica, epatotomia e rimozione di adenomi maligni) sulla base delle tecniche utilizzate e non dell’obiettivo terapeutico perseguito, assumendo la rimborsabilità esclusivamente di interventi di natura chirurgica e non radioterapica".</div>
<div style="text-align: justify;">
La decisione in questione, quindi, fissa un punto a favore del contraente, nei cui confronti la compagnia assicurativa non potrà più eccepire la mancata inclusione della terapia sanitaria goduta dall'elenco allegato alla polizza.</div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://drive.google.com/file/d/0B8A27r9dfTCWcDdEWUpOYUZVZTg/view?usp=sharing" target="_blank">Cass. Civ., Sez. III, 20/08/2015, n. 17020</a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-74588696263597542772015-10-14T08:06:00.001-07:002016-01-13T23:46:49.705-08:00Mancata notifica cartella di pagamento opposizione iscrizione a ruolo<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a risolvere un contrasto fra alcune decisioni, hanno dichiarato ammissibile l’impugnazione davanti al giudice tributario della cartella di pagamento ove, a causa del difetto della sua notifica, il contribuente sia venuto a conoscenza dell’iscrizione a ruolo solo attraverso l’estratto rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">E' stato, dunque, emanato il principio di diritto in virtù del quale risulta <i>"ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione"</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://drive.google.com/file/d/0B8A27r9dfTCWeDFKT1FVOW1RTmM/view?usp=sharing" target="_blank">Cass. SS.UU. 02/10/2015 n. 19704</a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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</div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-80002554960867775742015-10-12T06:50:00.000-07:002016-01-20T02:39:44.657-08:00Danno da vacanza rovinata.<div style="text-align: justify;">
Il danno da vacanza rovinata deve essere ravvisato nel disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione di un periodo di vacanze programmato; il pregiudizio consiste nella lesione del benessere psichico e materiale che il turista soffre per non aver potuto godere, in tutto o in parte, di un sereno periodo di vacanza perché rovinato da imprevisti, difficoltà e ritardi.</div>
<div style="text-align: justify;">
La Cassazione è intervenuta sull'argomento già da alcuni anni, ritenendo sufficiente la prova fornita dai turisti circa l’inadempimento dell’operatore turistico e, nel contempo, ha riconosciuto la possibilità di risarcire, ove raggiunta la suddetta prova sia il danno patrimoniale che quello morale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nella sentenza n. 5189/2010 la Suprema Corte, intervenendo in un ipotesi di inadempimento e/o inesatta esecuzione del cosiddetto "pacchetto turistico", ha affermato che il pregiudizio consegue alla lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, danno risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c. c. poiché la risarcibilità di tale danno è prevista dalla legge (Codice del Turismo) , oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nella successiva sentenza n. 7256 dell'11/05/2012, i Giudici della III Sezione, hanno fissato il principio secondo il quale la prova del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata”, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero.</div>
<div style="text-align: justify;">
Sulla base delle decisioni richiamate, si può, in conclusione, affermare che il nostro ordinamento, anche dietro la spinta comunitaria, ha recepito e riconosciuto il danno da vacanza rovinata, il cui risarcimento deve assicurare al turista una utilità sostitutiva rispetto a quella che avrebbe ricevuto nel caso in cui ci fosse stato un esatto adempimento dall'altra parte e che compensi le sofferenze morali e psichiche ricevute.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-32141802898563874842015-10-09T06:49:00.000-07:002016-01-20T02:40:28.085-08:00Indennizzo per volo cancellato a seguito di guasto all'aereo.<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La IX Sezione della Corte di Giustizia UE con la sentenza n. C-257/14 del 17/09/2015 ha stabilito che I problemi tecnici derivanti a causa della manutenzione non sono motivo per dispensare il vettore aereo dalla compensazione economica in favore dell'utente, a meno che non rientrino in vizio occulto di fabbricazione che incìde sulla sicurezza dei voli, atti di sabotaggio o di terrorismo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La convenzione di Montreal dispone, infatti, che gli obblighi incombenti sui vettori aerei non trovano applicazione solo nel caso in cui un evento è dovuto a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. Rientrano in tale tipologia gli eventi connessi a instabilità politica, condizioni meteorologiche incompatibili con l’effettuazione del volo in questione, rischi per la sicurezza, improvvise carenze del volo sotto il profilo della sicurezza e scioperi che si ripercuotono sull’attività di un vettore aereo operativo. Potrebbe, poi, rientrare nei casi di circostanza eccezionale la decisione del controllo del traffico aereo laddove, con riferimento ad un singolo aereomobile, ne provochi la cancellazione ovvero un lungo ritardo tale da richiedere il pernottamento.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La Corte di Giustizia UE, Sezione IV, era già intervenuta sull'argomento con la sentenza n. C-549/07 del 22/12/2008</span><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">, nella quale aveva affermato che possono ritenersi eccezionali quelle circostanze inerenti ad un evento che non attiene al regolare esercizio delle attività del vettore aereo e sfugga al suo effettivo controllo, per la sua natura o per la sua origine.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ne consegue che i vettori aerei, nell'esercizio della loro attività, devono esser in grado di far fronte regolarmente ai </span><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">problemi tecnici inevitabilmente connessi al funzionamento degli aeromobili.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><a href="http://www.studiolegalemms.it/">www.studiolegalemms.it</a></span></div>
Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-64232466344283069622015-10-06T15:06:00.001-07:002015-10-06T15:06:39.274-07:00Risarcibilità agli eredi del danno da morte immediata.<div style="text-align: justify;">
Per danno da morte immediata si intende il pregiudizio che si verifica ogniqualvolta taluno deceda immediatamente o poco dopo rispetto al momento in cui subisce l'azione illecita. Ormai da molti anni giurisprudenza e dottrina sono impegnate, con risultati discordi, a discutere se esso sia risarcibile o meno.</div>
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La stessa Corte di Cassazione ha mantenuto, nel tempo, un atteggiamento ondivago che ha condotto a decisioni tra loro in contrasto. Con la sentenza n. 1361/2014 si era riconosciuta la trasmissabilità del pregiudizio agli eredi, atteso che i Giudici di legittimità avevano sostenuto che <i>"il diritto al risarcimento del danno da perdita della vita (c.d. danno tanatologico) è acquisito dalla vittima un attimo prima della sua morte avvenuta pressoché istantaneamente rispetto all'evento lesivo. Esso, pertanto, è trasmissibile iure successionis. La risarcibilità costituisce, in questo caso, un'imprescindibile eccezione al principio della irrisarcibilità del danno evento e della risarcibilità dei soli danni conseguenza, stante la rilevanza costituzionale del bene vita".</i></div>
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Recentemente le Sezioni Unite, con la sentena n. 15350 del 22/07/2015 sono tornate sull'argomento andando in senso opposto affermando che <i>"il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua alle lesioni subite, decorre dal momento in cui sono provocate le lesioni, sino a quello della morte conseguente alle lesioni medesime; tale diritto si acquisisce al patrimonio del danneggiato ed è suscettibile di trasmissione agli eredi. Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, invece, si ritiene che non possa invocarsi un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis. Infatti, se i danni discendono dalla lesione, essi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando lo stesso sia in vita. Una volta sopravvenuto il decesso, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone comunque e necessariamente, l'esistenza di un subbietto di diritto"</i>.</div>
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La decisione in questione delle Sezioni Unite, tuttavia, non ha sopito la discussione bensì ha dato l'avvio ad autorevoli riflessioni critiche, ragion per cui l'argomento in questione non sembra ancora giunto su posizioni condivise da tutti gli operatori del diritto. </div>
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Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-2024253859471906412015-09-21T08:27:00.003-07:002015-09-23T03:04:17.860-07:00Azienda Sanitaria Locale natura ente pubblico economico - Corte di Cassazione, Sez. III Civ., sentenza n. 11088/14Concludiamo con la sentenza della Suprema Corte.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSdMC3KIOwcbsdEYsbqg5Dc63QH2zD3uJq5rRM5SVndRgDUvYa_3r6Qmv6pZHOn79NG_pTJQAJ4q_2jIo2F5e1duvynonSt2tMolhZHKIo2tkppJXDvtEVCMlCRz3l2z4OG3EqLxMnpzo/s1600/Sentenza+Cassazione-page-001.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSdMC3KIOwcbsdEYsbqg5Dc63QH2zD3uJq5rRM5SVndRgDUvYa_3r6Qmv6pZHOn79NG_pTJQAJ4q_2jIo2F5e1duvynonSt2tMolhZHKIo2tkppJXDvtEVCMlCRz3l2z4OG3EqLxMnpzo/s400/Sentenza+Cassazione-page-001.jpg" width="309" /></a></div>
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<br />Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2334715896544750760.post-27823252194406305722015-09-21T03:14:00.003-07:002015-09-23T03:04:37.104-07:00Azienda Sanitaria Locale natura ente pubblico economico - Tribunale di Roma, Sez. VIII, sentenza n. 22878/14Proseguiamo con la pubblicazione della sentenza del tribunale di Roma.<br />
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<br />Fabrizio Marinihttp://www.blogger.com/profile/04878164871646057268noreply@blogger.com0