mercoledì 18 novembre 2015

Responsabilità professionale avvocato.

Le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono pacificamente considerate, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, obbligazioni di mezzi e non di risultato; in buona sostanza il professionista,  nel momento in cui assume l'incarico, si obbliga a prestare la propria opera in vista del raggiungimento di un determinato risultato senza accollarsi, invece, alcun obbligo in ordine al conseguimento del medesimo.
La natura dell’obbligazione, come appena descritta, si ripercuote inevitabilmente sui criteri alla stregua dei quali dovrà essere valutato l’eventuale inadempimento; il professionista, infatti, è tenuto a rispondere non già per il mancato raggiungimento del risultato sperato dal creditore, bensì solo nel caso cui abbia violato i doveri inerenti allo svolgimento della propria attività professionale, ed in particolare quel dovere di diligenza media che il secondo comma dell’art. 1176 c.c. gli impone.
Con specifico riferimento alla responsabilità professionale dell’avvocato, la consolidata giurisprudenza della Cassazione (ex multis Cass. Civ., 9 giugno 2004, n. 10966; Cass. Civ., 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. Civ., sentenza 26 aprile 2010, n. 9917; Cass. Civ., sentenza 5 febbraio 2013, n. 2638) ha precisato che il riconoscimento della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Il cliente che lamenta l’inadempimento, e nel contempo invoca il risarcimento, è tenuto, quindi, a provare in termini probabilistici che senza la negligenza e/o l'imperizia del legale, il risultato voluto sarebbe stato conseguito (in tal senso si esprime anche Cass. Civ., sentenza 10 dicembre 2012, n. 22376).
Tale orientamento è stato recentemente confermato dai Giudici di legittimità, secondo i quali “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici” (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 13/02/2014 n. 3355).
In ordine alla responsabilità del professionista, poi, la Corte nella sentenza appena menzionata, oltre a richiamare il proprio consolidato orientamento in materia precisa che “nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico”
Grava quindi sul cliente che lamenti l’inadempimento da parte del professionista alla propria obbligazione, l'onere di fornire la prova, supportata da idonei dati obiettivi, in base alla quale il Giudice è chiamato a valutare se, in relazione alla natura del caso concreto, l'attività svolta dal professionista possa essere giudicata sufficiente o meno (Cass. Civ., sentenza 18 aprile 2007, n. 9238). Egli, pertanto, sarà tenuto a provare non solo di aver subito un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla negligente prestazione professionale (Cass. Civ., sentenza 27 maggio 2009, n. 12354).
Ne deriva così una forma di responsabilità che sfugge, in parte, alle normali regole della responsabilità contrattuale, per far valere la quale il creditore può limitarsi alla prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, allegando l’inadempimento della controparte; sarà poi il debitore convenuto a dover fornire la prova dall'avvenuto adempimento o comunque di un fatto estintivo del diritto fatto valere in giudizio. Nel caso di responsabilità professionale, per il creditore non è sufficiente allegare un generico inadempimento, fonte di danno, occorre, altresì, che lo stesso fornisca la prova del nesso causale tra il danno e l’inadeguatezza della condotta professionale del prestatore d’opera intellettuale.
Tale peculiarità è conseguenza proprio della natura stessa della prestazione professionale che, come detto, è prestazione di mezzi e non di risultato.

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