mercoledì 23 luglio 2025

Trust familiare e azione revocatoria, i rapporti fra tutela dei creditori e segregazione patrimoniale

 La recente sentenza del Tribunale di Roma n. 19652 del 29 dicembre 2024 offre un'analisi approfondita e sistematica dell'applicazione dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. ai trust familiari, delineando con chiarezza i principi giuridici che governano questo delicato equilibrio tra la tutela delle ragioni creditorie e l'autonomia negoziale dei soggetti nell'organizzazione del proprio patrimonio familiare. La vicenda processuale in esame presenta infatti i caratteri tipici delle controversie che vedono contrapposti creditori e debitori nell'ambito di operazioni di segregazione patrimoniale attraverso trust; il creditore, forte di un titolo giudiziale definitivo, si è trovato di fronte alla costituzione di un Trust, istituito dalla debitrice con la finalità dichiarata di assicurare un reddito a titolo di mantenimento dei beneficiari, operazione che vedeva coinvolti soggetti legati da stretti vincoli familiari.

Il Tribunale romano ha accolto integralmente la domanda revocatoria, dichiarando inefficace nei confronti del creditore tanto l'atto istitutivo del trust quanto la specifica disposizione contenuta nell'articolo 36 che operava il trasferimento patrimoniale degli immobili al trustee. La decisione si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che riconosce la piena applicabilità dell'azione revocatoria agli istituti di segregazione patrimoniale di derivazione anglosassone. 

Una delle questioni preliminari più significative affrontate dalla sentenza riguarda la soggettività giuridica del trust nell'ordinamento italiano. Il Tribunale ha chiarito definitivamente che il trust non possiede autonoma soggettività giuridica, confermando l'orientamento della Cassazione secondo cui le azioni revocatorie ed esecutive non vanno notificate al trust, come autonomo soggetto di diritto, ma al trustee, in ragione della titolarità in capo solo a questo del potere di disposizione e di gestione sui beni. Questa precisazione assume rilevanza pratica fondamentale, poiché risolve le frequenti eccezioni processuali sollevate dai convenuti circa la nullità dell'atto di citazione per mancata notificazione al trust. Il Giudice capitolino ha inoltre stabilito che dal tenore complessivo dell'atto di citazione deve emergere chiaramente la qualifica con cui viene evocato in giudizio il trustee, senza che sia necessaria una specifica menzione della sua qualità, purché non sorga alcun ragionevole dubbio sull'identificazione del soggetto convenuto

Particolarmente interessante è anche la soluzione adottata per la questione del litisconsorzio necessario dei beneficiari. Il Tribunale ha stabilito che nei trust a titolo gratuito i beneficiari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari, atteso che solo per gli atti a titolo oneroso lo stato soggettivo del beneficiario rileva quale elemento costitutivo della fattispecie. Questa distinzione, che trova conferma nella giurisprudenza di legittimità, semplifica notevolmente l'architettura processuale delle azioni revocatorie contro trust familiari, evitando la necessità di coinvolgere nel giudizio soggetti che non hanno un interesse diretto e attuale sui beni segregati.

Il cuore della decisione risiede nella qualificazione del trust familiare come atto a titolo gratuito ai fini dell'applicazione dell'art. 2901 c.c. Questa qualificazione, ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità, comporta conseguenze processuali e sostanziali di estrema rilevanza, poiché per gli atti gratuiti non è richiesta la prova della consapevolezza del pregiudizio da parte dei beneficiari, elemento invece necessario per gli atti onerosi. Il Tribunale ha respinto con fermezza le argomentazioni dei convenuti volte a dimostrare l'onerosità del trust attraverso la produzione di una scrittura privata che avrebbe documentato precedenti accordi familiari. La decisione si fonda sul principio della fede privilegiata dell'atto pubblico ex art. 2700 c.c., stabilendo che tale dichiarazione, come del resto tutte quelle fatte innanzi al pubblico ufficiale, hanno valore privilegiato ex art. 2700 c.c., né possono essere superate con una scrittura privata, quale quella del 2015 versata in atti, che seppur avente data certa, derivante dal timbro postale delle raccomandate, non ha fede privilegiata nel suo contenuto a differenza dell'atto pubblico richiamato.

La giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla sentenza, ha chiarito che l'istituzione di trust familiare non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura - ai fini della revocatoria ordinaria - un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti. Il Tribunale romano ha altresì riconosciuto senza esitazioni la sussistenza dell'eventus damni, elemento oggettivo dell'azione revocatoria che si sostanzia nel pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie attraverso l'atto dispositivo del debitore. Nel caso dei trust, questo pregiudizio si manifesta attraverso l'effetto segregativo che sottrae i beni conferiti alla garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c.. La sentenza chiarisce che l'eventus damni non richiede necessariamente una totale compromissione del patrimonio del debitore, essendo sufficiente una variazione qualitativa o quantitativa che renda più difficile o incerta la soddisfazione del credito. Come evidenziato dalla Corte d'Appello di Venezia nella sentenza n. 1928/2024, il requisito oggettivo dell'eventus damni ricorre non solo quando l'atto dispositivo compromette totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando determina una variazione soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito.

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, il Tribunale ha ritenuto provata la scientia damni in capo alla disponente, basandosi sulla circostanza che il trust era stato istituito successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il rapporto di credito-debito. Questa tempistica assume valore decisivo, poiché dimostra che la disponente era pienamente consapevole dell'esistenza del credito e delle sue implicazioni patrimoniali al momento della costituzione del trust. La giurisprudenza più recente ha chiarito che la scientia damni può essere provata anche attraverso presunzioni semplici, come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Cosenza n. 1928/2024, secondo cui la scientia damni può essere presunta attraverso presunzioni semplici derivanti dalla sussistenza di vincoli parentali tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente.

Un aspetto particolarmente interessante della sentenza riguarda la questione dell'accettazione dell'eredità da parte della convenuta. Il Tribunale ha stabilito che la costituzione in giudizio del delato come erede costituisce accettazione tacita dell'eredità, anche quando successivamente venga formalizzata l'accettazione con beneficio di inventario. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui varie sono le attività processuali, compiute dal delato come se fosse erede, reputate accettazione tacita dell'eredità, includendo la costituzione o l'intervento in un giudizio in qualità di erede. 

La sentenza offre anche un'ampia disamina dell'inquadramento sistematico del trust nell'ordinamento italiano, richiamando la Convenzione dell'Aja del 1985, ratificata con legge n. 364/1989, che ha consentito il riconoscimento di questo istituto di derivazione anglosassone. Il Tribunale ha chiarito che il trust è un istituto di origine anglosassone che affonda le sue antiche origini in quella parte dell'ordinamento inglese nota col nome di 'equity', caratterizzato da uno sdoppiamento della proprietà: la proprietà formale spetta al trustee, quella sostanziale al beneficiario. L'effetto principale del trust, la segregazione patrimoniale, viene descritto come la creazione di un patrimonio separato in via definitiva (salvo revoca) dagli altri beni che compongono il patrimonio del trustee, come anche dal patrimonio del disponente (che se ne spoglia definitivamente) e del beneficiario. Questa separazione patrimoniale, pur essendo l'essenza dell'istituto, non può tuttavia essere utilizzata per eludere le legittime aspettative dei creditori, come dimostrato dall'applicabilità dell'azione revocatoria.

La sentenza del Tribunale di Roma rappresenta un contributo significativo alla definizione dell'equilibrio tra tutela dei creditori e autonomia negoziale nell'ambito dei trust familiari. L'approccio adottato dal Giudice romano, caratterizzato da rigore metodologico e attenzione ai profili sostanziali, offre una guida preziosa per la risoluzione delle controversie in questa delicata materia. L'orientamento giurisprudenziale consolidato riconosce la piena legittimità dell'utilizzo del trust per finalità di organizzazione patrimoniale familiare, ma al contempo garantisce ai creditori gli strumenti necessari per tutelare le proprie ragioni quando l'istituto venga utilizzato in modo elusivo. Questa impostazione appare equilibrata e rispettosa tanto dell'autonomia privata quanto delle esigenze di tutela del credito.




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