La pronuncia del Tribunale di Roma n. 18215 del 28/11/2024 approfondisce la materia della contraffazione del marchio d'impresa, con particolare riferimento alla distinzione tra marchi "forti" e "deboli" e ai criteri di valutazione della confondibilità tra segni distintivi.
Il Tribunale romano ha ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in materia di valutazione della confondibilità tra marchi. Come evidenziato nella sentenza, "l'accertamento della confondibilità dei marchi in conflitto deve compiersi in via globale e sintetica, avendo riguardo all'insieme dei loro elementi salienti grafici, visivi e fonetici, intendendosi con quest'ultimo termine tutti gli effetti acustici (cioè auditivi, fonici) delle espressioni usate, in relazione al normale grado di percezione delle persone alle quali il prodotto è destinato". La valutazione del rischio di confusione deve essere condotta globalmente, considerando tutti i fattori pertinenti del caso secondo un criterio di interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi.
Il Tribunale ha chiarito che i cosiddetti marchi deboli sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto, dal momento che la fantasia che li ha concepiti non è andata oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento del prodotto, ovvero l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo. Nel caso in esame la componente figurativa del marchio riproduce, inoltre, in modo fedele un peperoncino, prodotto di uso comune nella ristorazione e, in generale, nel settore alimentare, non presentando varianti essenziali alla natura della bacca ed è, pertanto, privo di elementi di fantasia e di una forte efficacia distintiva.
La qualificazione di un marchio come "debole" comporta importanti conseguenze sul piano della tutela; infatti per essi devono adottarsi criteri meno rigorosi rispetto a quelli forti, essendo la protezione dei primi limitata alle parti dotate di originalità.
Il Tribunale ha ribadito che l'azione di contraffazione del marchio d'impresa ha natura reale e tutela il diritto assoluto all'uso esclusivo del segno come bene autonomo, sulla base del riscontro della confondibilità dei marchi, prescindendo dall'accertamento della effettiva confondibilità tra prodotti e delle concrete modalità di uso del segno.
La sentenza del Tribunale di Roma offre importanti spunti di riflessione sulla tutela dei marchi deboli nel diritto italiano. La pronuncia conferma l'orientamento consolidato secondo cui la qualificazione di un marchio come "debole" non ne pregiudica la validità, ma ne limita l'intensità della tutela, richiedendo per la configurazione della contraffazione una riproduzione sostanzialmente pedissequa del segno.
La decisione evidenzia inoltre l'importanza di una valutazione globale e sintetica della confondibilità tra marchi, che deve tenere conto non solo degli elementi denominativi comuni, ma anche delle differenze grafiche, cromatiche e figurative che possono escludere il rischio di confusione per il pubblico di riferimento.
Particolarmente significativo appare il richiamo alla giurisprudenza eurounitaria e ai principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che confermano la necessità di un approccio armonizzato nella valutazione della confondibilità tra marchi, basato sulla percezione del consumatore medio e sull'impressione complessiva prodotta dai segni in conflitto.
In definitiva, la sentenza del Tribunale di Roma rappresenta un contributo significativo alla sistematizzazione dei principi in materia di tutela dei marchi deboli, confermando la necessità di un approccio equilibrato che, pur garantendo la protezione dei diritti di privativa industriale, non consenta un'estensione eccessiva della tutela a scapito della libera concorrenza e dell'uso legittimo di segni di comune utilizzo nel settore di riferimento.
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