venerdì 10 ottobre 2025

L'esecutività provvisoria delle sentenze costitutive e il rapporto di interdipendenza tra i diversi capi di una pronuncia giudiziale.

La vicenda processuale trae origine da un'opposizione a precetto proposta da un coerede avverso l'intimazione di pagamento notificatagli da altro coerede. Il cuore della controversia risiede nell'eccezione sollevata dall'opponente circa la natura non esecutiva della sentenza costitutiva per i capi condannatori dipendenti; la questione si inserisce nel più ampio dibattito sulla portata dell'articolo 282 c.p.c., che stabilisce la provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado.

Il Tribunale romano affronta preliminarmente la questione della corretta qualificazione dell'azione proposta dall'opponente, richiamando il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il giudice ha il potere dovere di qualificare giuridicamente l'azione, la pronuncia chiarisce la distinzione fondamentale tra opposizione all'esecuzione ex articolo 615 c.p.c. e opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c.. La differenziazione si basa sull'oggetto delle contestazioni: quando si contesta il diritto del creditore a procedere ad esecuzione, si configura l'opposizione all'esecuzione; quando invece le contestazioni riguardano le modalità con cui è stata introdotta l'esecuzione, trova applicazione l'opposizione agli atti esecutivi. Nel caso di specie, l'eccezione di inesistenza di un valido titolo esecutivo ha condotto il giudice a qualificare correttamente la domanda come opposizione all'esecuzione.

La questione centrale affrontata dalla sentenza riguarda l'applicabilità del principio di esecutività provvisoria alle sentenze costitutive. Il Tribunale richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la generale provvisoria esecutorietà delle sentenze di primo grado trova un limite nelle pronunce che, per loro natura, non tollerano tale anticipazione degli effetti. La questione centrale affrontata dalla sentenza riguarda l'applicabilità del principio di esecutività provvisoria alle sentenze costitutive; il Tribunale richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la generale provvisoria esecutorietà delle sentenze di primo grado trova un limite nelle pronunce che, per loro natura, non tollerano tale anticipazione degli effetti. La giurisprudenza di legittimità ha elaborato una distinzione fondamentale, cristallizzata nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 4059 del 2010, secondo cui l'esecutività provvisoria delle sentenze costitutive è limitata ai capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell'effetto costitutivo in un momento successivo, e non si estende a quelli che si collocano in rapporto di stretta interdipendenza con i capi costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale.

Il giudice romano osserva che l'accertamento del diritto in capo all'opposta di vedersi riconosciuto l'indennizzo spettante all'erede pretermesso dei rendimenti relativi alla gestione degli immobili caduti in successione non ha alcun rapporto di stretta interdipendenza con la parte costitutiva della pronuncia relativa alla assegnazione dei beni. Questa valutazione si fonda su una considerazione sostanziale di notevole rilevanza: l'eventuale riforma della sentenza nella sua parte costitutiva non avrebbe potuto influire sulla condanna al pagamento dei rendimenti, restando comunque dovute le somme destinate a ristorare l'erede pretermesso. Si configura, pertanto, un rapporto di mera dipendenza tra il capo costitutivo e quello condannatorio, che rende quest'ultimo immediatamente esecutivo.

La pronuncia del Tribunale di Roma in esame si inserisce in un orientamento giurisprudenziale che tende a valorizzare l'autonomia sostanziale dei diversi diritti azionati, anche quando questi trovino riconoscimento in un'unica pronuncia giudiziale. L'approccio seguito dal giudice romano dimostra come l'applicazione meccanica del principio di non esecutività delle sentenze costitutive debba cedere il passo a una valutazione sostanziale del rapporto intercorrente tra i diversi capi di decisione. Particolarmente significativa appare la considerazione secondo cui il diritto dell'erede pretermesso ai rendimenti immobiliari presenta caratteri di autonomia rispetto alla divisione ereditaria propriamente detta. Tale autonomia giustifica l'immediata esecutività della relativa condanna, indipendentemente dalla stabilità della pronuncia costitutiva sull'assegnazione dei beni.

Tribunale Roma sentenza n. 13738/2023





 

venerdì 3 ottobre 2025

La tutela dei marchi deboli.

 

La pronuncia del Tribunale di Roma n. 18215 del 28/11/2024 approfondisce la materia della contraffazione del marchio d'impresa, con particolare riferimento alla distinzione tra marchi "forti" e "deboli" e ai criteri di valutazione della confondibilità tra segni distintivi.

Il Tribunale romano ha ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in materia di valutazione della confondibilità tra marchi. Come evidenziato nella sentenza, "l'accertamento della confondibilità dei marchi in conflitto deve compiersi in via globale e sintetica, avendo riguardo all'insieme dei loro elementi salienti grafici, visivi e fonetici, intendendosi con quest'ultimo termine tutti gli effetti acustici (cioè auditivi, fonici) delle espressioni usate, in relazione al normale grado di percezione delle persone alle quali il prodotto è destinato". La valutazione del rischio di confusione deve essere condotta globalmente, considerando tutti i fattori pertinenti del caso secondo un criterio di interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi.

Il Tribunale ha chiarito che i cosiddetti marchi deboli sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto, dal momento che la fantasia che li ha concepiti non è andata oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento del prodotto, ovvero l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo. Nel caso in esame la componente figurativa del marchio riproduce, inoltre, in modo fedele un peperoncino, prodotto di uso comune nella ristorazione e, in generale, nel settore alimentare, non presentando varianti essenziali alla natura della bacca ed è, pertanto, privo di elementi di fantasia e di una forte efficacia distintiva.

La qualificazione di un marchio come "debole" comporta importanti conseguenze sul piano della tutela; infatti per essi devono adottarsi criteri meno rigorosi rispetto a quelli forti, essendo la protezione dei primi limitata alle parti dotate di originalità.

Il Tribunale ha ribadito che l'azione di contraffazione del marchio d'impresa ha natura reale e tutela il diritto assoluto all'uso esclusivo del segno come bene autonomo, sulla base del riscontro della confondibilità dei marchi, prescindendo dall'accertamento della effettiva confondibilità tra prodotti e delle concrete modalità di uso del segno.

La sentenza del Tribunale di Roma offre importanti spunti di riflessione sulla tutela dei marchi deboli nel diritto italiano. La pronuncia conferma l'orientamento consolidato secondo cui la qualificazione di un marchio come "debole" non ne pregiudica la validità, ma ne limita l'intensità della tutela, richiedendo per la configurazione della contraffazione una riproduzione sostanzialmente pedissequa del segno.

La decisione evidenzia inoltre l'importanza di una valutazione globale e sintetica della confondibilità tra marchi, che deve tenere conto non solo degli elementi denominativi comuni, ma anche delle differenze grafiche, cromatiche e figurative che possono escludere il rischio di confusione per il pubblico di riferimento.

Particolarmente significativo appare il richiamo alla giurisprudenza eurounitaria e ai principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che confermano la necessità di un approccio armonizzato nella valutazione della confondibilità tra marchi, basato sulla percezione del consumatore medio e sull'impressione complessiva prodotta dai segni in conflitto.

In definitiva, la sentenza del Tribunale di Roma rappresenta un contributo significativo alla sistematizzazione dei principi in materia di tutela dei marchi deboli, confermando la necessità di un approccio equilibrato che, pur garantendo la protezione dei diritti di privativa industriale, non consenta un'estensione eccessiva della tutela a scapito della libera concorrenza e dell'uso legittimo di segni di comune utilizzo nel settore di riferimento.

Tribunale Roma Sentenza n. 18215 2024